Tra il folto pubblico presente anche in questa domenica, 17 novembre, all'appuntamento con il ciclo di lezioni di storia curato da Laterza e intitolato "I giorni di Trieste" (proposto dal Comune di Trieste e ospitato dal Teatro Verdi), ci saranno certamente molte persone che vorrebbero vedere i documenti e gli oggetti conservati nei musei che hanno qualche relazione con gli argomenti trattati. Oggi il professore Luigi Mascilli Migliorini ha tenuto una bella lezione sull'epoca napoleonica a Trieste. Cosa resta di quelle vicende in città? Moltissimi documenti distribuiti tra diverse istituzioni, ma ci sono anche tre opere d'arte esposte al Museo Revoltella (al piano terra del palazzo baronale), di cui vi proponiamo le schede.
Lorenzo Bartolini
Savignano di Prato, 1877 / Firenze, 1850
Erma del principe Felice Baciocchi
1809
Marmo,57 cm.
Iscrizioni sulla base dell'erma: "FELIX"
Inventario: 772
Provenienza: Acquisto, 23 dicembre 1872
Felice Baciocchi, nacque ad Ajaccio nel 1762, da una famiglia di nobili origini genovesi decaduta. Intrapresa la carriera militare, prese parte alle spedizioni in Italia tra il 1792 e il 1793 con il grado di sottotenente prima e di capitano poi. Nel 1797 sposò, non senza qualche resistenza da parte del futuro imperatore Napoleone, Elisa Bonaparte, conosciuta durante un soggiorno a Marsiglia. Baciocchi assunse quindi il comando della cittadella di Ajaccio e, nel 1798, del forte Saint Nicolas a Marsiglia. Nominato colonnello l'anno successivo, si trasferì a Parigi. Partecipò al colpo di stato del 18 brumaio compiuto da Napoleone.Nel 1804 divenne generale di brigata e senatore e, un anno più tardi fu nominato principe di Piombino e Lucca, con il nome di Felice I. Nel 1809 a questi titoli aggiunse anche quello di generale di divisione e altezza imperiale,mentre la moglie Elisa diveniva granduchessa di Toscana e governava energicamente il territorio avviando molte riforme. Il potere dei Baciocchi era però destinato a durare poco.Nel 1814, mentre si avvicinava la sconfitta di Napoleone, Felice e la consorte fuggirono.Dopo varie peregrinazioni, i due coniugi nel 1816 si trasferirono a Trieste dove vissero nel lusso attorniati da una piccola corte, e quindi nella loro proprietà di campagna di Villa Vicentina presso Aquileia. Rimasto vedovo nel 1820, Felice tornò a Bologna, dove risiedette fino alla morte, avvenuta il 27 aprile 1841. Il toscano Lorenzo Bartolini fu il ritrattista ufficiale della famiglia Bonaparte, per la quale eseguì un grande numero di opere, sia busti che figure intere.Dopo avere operato alcuni anni a Parigi, con importanti incarichi alla corte di Napoleone, tornò in patria nel 1807 per assumere, su interessamento di Elisa Bonaparte, la cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Il ritratto di Felice Baciocchi fu eseguito probabilmente poco dopo il suo arrivo a Carrara, intorno al 1809. Forse fu ricavato da un calco in gesso dell’originale che doveva essere stato eseguito a Parigi nel 1805. Ne esistono anche altre copie, tra cui si segnala l’esemplare esposto nel Musée Napoléonien del Municipio di Ajaccio, identico al marmo triestino. Questo fu il primo acquisto effettuato dal Museo Revoltella dopo la sua fondazione, nel 1872. Lo offerse al Curatorio il francese Charles Dessalles d'Epinois per la modica somma di 350 fiorini. Allora l’autore non era stato identificato.
Antonio Canova
Possagno (Treviso), 1757/ Venezia, 1822
Napoleone come Marte pacificatore, 1810
Gesso, 86,5x27 cm
Inventario: 804
Provenienza: Acquisto, 1938
Il gesso è probabilmente un calco, ricavato da Canova stesso, del modellino in terracotta originale, oggi non più reperibile, per la statua colossale di Napoleone come Marte pacificatore, scolpita da Canova prima in marmo (1803-1806, Londra, Apsley House), quindi fusa in bronzo (1809,Milano, Brera). L’opera originale in marmo, alta quasi tre metri e mezzo, fu eseguita tra il 1803 e il 1806, in seguito alla commissione di un ritratto da parte dell’imperatore (1802). Secondo il Cicognara, Canova trasse ispirazione da un Atleta ellenistico degli Uffizi, ma non è da escludersi un richiamo all’imperatore Augusto, portatore di pace dopo una fase di guerre civili. Il modellino potrebbe essere stato eseguito tra il 1802 e il 1803, dato che il modello grande fu esposto nello studio nel luglio 1803. Quando la statua fu portata a Parigi, nel 1811, Napoleone, che non gradiva di essere raffigurato ignudo, decise di non consentirne l’esposizione al pubblico e di depositarlo nei magazzini del Louvre. Il marmo fu acquistato dal governo inglese nel 1815 e poi donato a Lord Wellington, il vincitore di Waterloo, che lo collocò nella sua casa di Londra. La versione in bronzo fu commissionata a Canova nel 1807 dal viceré d’Italia Eugenio e giunse a Milano nel 1812. Dopo varie vicissitudini nel 1859 trovò collocazione nel cortile dell’Accademia di Belle Arti. Il bozzetto in gesso del Revoltella fu ceduto al museo dagli eredi dell’architetto Pietro Nobile, al quale era passato in proprietà dal barone Angelo Calafati, nominato nel 1813 intendente di Trieste e dell’Istria. Già nell’Ottocento sul gesso venne steso uno strato di pittura color avorio con lo scopo di fare assumere al modellino l’aspetto del marmo e di nascondere le tracce di colore rossastro lasciate dalla terracotta sulla quale era stato eseguito il calco. Anche l’esecuzione di una riproduzione in bronzo (pure nelle collezioni del Museo Revoltella) ha compromesso senz’altro la conservazione del pezzo.
Houdon Jean Antoine
Versailles, 1741-Parigi, 1828
Napoleone I , 1806
Gesso 60x51 26
Dono Nicolò Branchi, Trieste, 1875
Firmato Houdon
Il ritratto rappresenta, a mezzo busto in posa frontale, Napoleone I in uniforme da generale, completa di spalline e decorazoni appuntate sul petto, il collo stretto nella morsa del rigido colletto della giacca. Questa realistica ma "nobilitata" effigie dell'imperatore, rispondendo in modo adeguato all'immagine ufficiale che Napoleone intendeva fornire di sé, venne più volte riprodotta come arredo conveniente per le sedi ufficiali del "culto" bonapartista: uffici e prefetture in varie parti d'Europa. Come già segnalato da due cataloghi del Museo (C.M.R. 1920; 1925), e quindi da Firmiani (1971, p.6), é possibile che l'opera provenga da Villa Murat a Trieste, dove un busto di Napoleone viene ricordato "presso il pianoforte" da Caprin (1891, p.265). Lo stesso studioso (l.c.) afferma che il ritratto "passò poi a Villa Vicentina", nella dimora di campagna di Elisa Baciocchi Bonaparte. Il busto, con tutta probabilità, deve essere in seguito pervenuto nella collezione di Pietro Kandler - in una data anteriore alla sua morte, avvenuta nel 1872 - visto che il genero dello storico triestino, Nicolò Branchi (il quale lo donò al museo nel 1875) dichiara nel proprio testamento del 7 maggio 1784 che "tutti gli effetti che si trovano nella mia abitazione, come le suppellettili ed i mobili di casa, i quadri, la biancheria e l'argenteria, sono proprietà assoluta di mia moglie Giovanna Branchi nata Kandler, la quale li ebbe dalla sua famiglia" (cfr. Firmiani 1971, p.5). Il gesso, ritenuto opera autografa da Firmiani, riproduce, senza alcuna variante, il busto in marmo di Houdon, conservato nel Musée National de Versailles (MV 1521; MR 2187). Rispetto a quest'ultimo sono da rilevare alcune differenze: il marmo é più piccolo del gesso in altezza, piedistallo escluso, di 1,5 cm.; nelle zone più scabre, come i capelli o le spalline, il gesso risulta assai meno definito; il rilievo di alcuni sottili particolari, come le asole dei bottoni o i bordi delle palpebre, appaiono molto più evidenti nella versione in marmo; altri particolari, come le cuciture dei baveri, nell'esemplare triestino sono tracciati più grossolanamente; sul fondo del gesso si vedono i resti di quattro perni in ferro che servivano probabilmente ad assicurare il busto ad una base fissa; la firma dell'artista, pur trovandosi sul moncone del braccio sinistro come nel marmo, é priva della "f." (= fecit) aggiunta al cognome dell'artista nel marmo di Versailles. E' possibile che l'aspetto "slavato" dell'esemplare in esame sia dovuto anche alle numerose ridipinture che lo hanno interessato, con lo scopo evidente di 'ripulire' l'opera imbiancandola. In conclusione, é verosimile che il gesso triestino sia meglio una derivazione dal marmo, piuttosto che il suo modello, mancando di quella 'freschezza' e di quella vitalità che caratterizzano solitamente la plastica houdoniana e presentando altresì alcuni indurimenti e minute semplificazioni che, in sé insignificanti, finiscono invece per pesare sulla qualità estetica dell'insieme. Va ricordata l'esistenza di un ulteriore busto in gesso di Napoleone, apparentemente identico, menzionato da Rèau e individuato da Firmiani nell'Hôtel George V di Parigi.