
Terzo piano
Il percorso della galleria d’arte moderna inizia a livello del terzo piano di Palazzo Brunner, a cui si accede dall’ultima sala del secondo piano di Palazzo Revoltella.
L’itinerario moderno prende avvio dalla saletta dedicata ad uno dei protagonisti dell’arte triestina, Eugenio Scomparini, maestro indiscusso della generazione di artisti triestini nati nella seconda metà dell’Ottocento, del quale si vedono qui esposti ritratti femminili e bozzetti per decorazioni d’interni, di cui fu magistrale autore a Trieste, sulla scia della scuola settecentesca veneziana.

Proseguendo verso gli ambienti che si affacciano sull’atrio d’ingresso, si trova esposta una selezione di opere di scultura del Novecento, tra le più rappresentative della ricca collezione scultorea del museo che conta circa quattrocento pezzi.
Negli ambienti laterali, invece, nella ricostruzione simulata dell’atelier di uno scultore, si trovano esposte quasi tutte le opere di Ruggero Rovan che, dopo la morte dello scultore triestino (1965), furono depositate al Museo Revoltella, assieme al consistente archivio. L’esposizione permette di ricostruire l’intera attività dell’artista, dai primi lavori realizzati alla fine dell’Ottocento fino agli ultimi conclusi nel secondo dopoguerra. Sono inoltre esposti una selezione di disegni preparatori e alcuni documenti tutti provenienti dall’archivio dell’artista.
Proseguendo la visita si incontra una sezione dedicata alla natura morta tra Ottocento e Novecento, che espone una selezione di dipinti di artisti triestini noti e specializzati in questo genere pittorico come Francesco Malacrea e il suo allievo Enrico Hohenberger, ma anche dipinti di artisti interessanti e meno noti come Angelo Martinetti, oltre alle nature morte di artisti legati al Novecento triestino come Bruno Croatto, Piero Marussig, Edgardo Sambo e, ancora, alcune opere di illustri artisti del Novecento italiano: Felice Casorati e Filippo De Pisis.
Conclude il percorso di questa sala uno dei dipinti più importanti della collezione ottocentesca, La preghiera di Maometto di Domenico Morelli (1887), che il museo commissionò direttamente all’artista napoletano.
Quarto piano
Sulla sommità della scala che conduce al quarto piano ha trovato collocazione la scultura in marmo di Domenico Trentacoste, La Derelitta (1893), acquistata alla prima Biennale veneziana.

Galleria minore
Le scuole regionali
Qui sono esposte opere di autori collegati alle più importanti scuole regionali italiane, che coprono un periodo compreso tra la metà e gli ultmi anni dell’Ottocento. Molte furono acquistate nella prima fase di vita del museo, fondato nel 1872, altre pervennero attraverso successive donazioni di collezioni private. Nella prima sala hanno trovato posto molti autori importanti dell’Ottocento italiano; tra gli artisti rappresentanti della scuola meridionale, che comprende artisti come Vertunni, Tiratelli, Palizzi e Celentano, si segnala il bellissimo dipinto di Giuseppe De Nittis La signora del cane o Ritorno dalle corse (1878), l’opera più importante e nota delle raccolte ottocentesche, che ben rappresenta il mondo parigino frequentato dall’artista pugliese. Particolarmente ben documentata è la produzione di ambito lombardo e in particolare dei fratelli Induno, Gerolamo e Domenico, entrambi impegnati nel raccontare i fatti storici a loro contemporanei. Di Gerolamo sono esposte La sentinella, ovale datato 1849, Garibaldi ferito in Aspromonte, che narra gli avvenimenti dell’ agosto 1862, e Il ritorno del marinaio proveniente dal lascito Nelly Bois de Chesne. Di Domenico Induno, invece, apprezzato per la pittura di genere è esposta La Malinconia, capolavoro che rinvia agli avvenimenti e ai fatti del 1848 vissuti dalla parte dei più deboli. Conclude la sezione di storia risorgimentale un lavoro di Giovanni Fattori, Il Bivacco, in cui prevale l’aspetto umano, più che quello eroico, della vita militare delle truppe francesi accampate alle Cascine nel 1859.

Umberto Veruda e Italo Svevo
Gli artisti triestini a Monaco
Il Circolo Artistico di Trieste
Tra il 1880 e il 1914 operava a Trieste un folto gruppo di artisti, caratterizzati da personalità diverse, ma influenzati dalla medesima scuola, l’Accademia di Belle Arti di Monaco, che rappresentava un punto di riferimento importante per tutti, a cominciare da Umberto Veruda, Isidoro Grünhut e Carlo Wostry, i tre giovani pittori di cui si trovano esposti alcuni dipinti nella sala attigua alla sezione dei pittori risorgimentali e simmetrica a quella delle Scuole regionali. Qui sono raccolte molte opere di Umberto Veruda, amico fraterno dello scrittore Italo Svevo e unico erede dei dipinti dell’amico dopo la sua morte prematura. Sono per lo più ritratti raffiguranti gli amici pittori triestini (Fragiacomo, Zangrando, Barison, Fittke, Grimani, Mayer), come lui frequentatori del locale Circolo Artistico, accanto a dipinti di grande intensità di Isidoro Grünhut, talento eccezionale se pure poco conosciuto e un bel ritratto a figura intera (Ritratto di Giuseppe Garzolini) di Carlo Wostry, autore prestigioso della Storia del Circolo artistico di Trieste (1934) e artista poliedrico e di grande originalità.
Galleria maggiore
Sale internazionali
Nelle sale più vaste del quarto piano sono esposte le opere di maggior pregio acquistate dal museo fra la metà degli anni Ottanta e la prima guerra mondiale. Si tratta per lo più di dipinti di grande formato provenienti quasi tutti dalle grandi esposizioni internazionali di Venezia, Roma, Monaco e Vienna. La scelta del Curatorio cadde, almeno per un lungo periodo, sempre sulla pittura realista, di cui interessavano in ugual misura i temi sociali e l’interpretazione del paesaggio.
Appartengono al realismo veneto le opere di Cesare Laurenti (Frons animi interpres, 1886), Ave Maria di Luigi Nono (1892), La campana della sera di Pietro Fragiacomo (1893) e il gruppo in gesso Belisario (1887), di Urbano Nono.
Tra gli anni Ottanta e la fine del secolo il museo si arricchì anche di alcuni grandi paesaggi, che vanno dai suggestivi controluce di Giorgio Belloni (Torna il sereno, 1887) e di Angelo Dall’Oca Bianca (Prima luce, 1887) al tramonto sul lago di Garda (1887) di Bartolomeo Bezzi alle cupe montagne della Val Camonica di Arnaldo Soldini (1899). Venezia non poteva mancare ed è presente, infatti, con una raffinata interpretazione di Guglielmo Ciardi (Mattino alla Giudecca, 1892).
Tra i dipinti esposti nella prima sala s’incontra anche la prima opera di un artista straniero, Dopo la Prima Comunione dell’artista norvegese Frithyiof Smith, di eccezionale realismo fotografico.

Per quanto riguarda la scultura, proviene dalla terza edizione dell’esposizione veneziana il delicato ritratto femminile intitolato Sogno di primavera (1899) di Pietro Canonica, già ricco di accenti simbolisti e i due imponenti gessi del 1905 di Leonardo Bistolfi (La Croce e Funerale della vergine). Se è ancora uno spaccato di vita quotidiana il grande dipinto di Lionello Balestrieri intitolato Beethoven (1900), ispirato alla vita bohemienne degli artisti parigini, in queste sale sono ospitate anche una serie molto varia di opere del primo decennio del Novecento attraverso le quali è facile percepire il passaggio tra realismo e simbolismo.

Completano lo scenario alcune opere di autori italiani e stranieri (De Maria, Delaunois, van Bartels, Zügel) sempre provenienti dalle Biennali dell’inizio del secolo e a loro volta rappresentative della coesistenza, nell’esposizione veneziana, del realismo ottocentesco e di più attuali tendenze alla fuga dalla realtà.
All’ambito simbolista si possono ricondurre anche molti dei dipinti realizzati nel primo decennio del Novecento, fra i quali domina il giorno sveglia la notte (1905 circa) di Gaetano Previati. Sono qui sempre presenti inoltre artisti di diversi paesi europei: primo fra tutti il tedesco Franz von Stuck, portabandiera del Secessionismo monacense e autore di Scherzo (1909), uno dei cinque dipinti di questo importante artista presenti sul territorio italiano. E poi Anders Zorn (Hilma Eriksson, 1909), con opere presenti alla Biennale del 1909, e gli spagnoli Ignacio Zuloaga (Lola la gitana, scelto all’Esposizione di Roma del 1911) e Gonzalo Bilbao (La esclava, Biennale del 1905); oltre che da Previati la pittura italiana di quegli anni è rappresentata Antonio Mancini (Geltrude, 1910), Giacomo Grosso (Principessa Letizia di Savoia Aosta, Biennale del 1905) e Armando Spadini (Al Pincio, 1913).

Quinto piano
Lungo la scala che conduce al quinto piano della Galleria si incontrano alcune sculture di artisti di diversa epoca, sensibilità e provenienza: Passeggiata (1933) dell’anconitano Quirino Ruggeri, il poderoso Bacio (1931) del triestino Ruggero Rovan e, del grande Marcello Mascherini, la maestosa Eva (1939) e la Sirenetta del 1933.
Arrivati in quinto piano il percorso espositivo comprende sette sezioni, che documentano la produzione artistica triestina e giuliana dai primi anni del Novecento, caratterizzati dal fenomeno delle Secessioni, fino al secondo conflitto mondiale.

Da Venezia a Monaco e Vienna
Accenti secessionisti nell’arte triestina del primo ventennio del Novecento
La prima sezione raccoglie dipinti, sculture e grafica fortemente condizionati dal clima secessionista d’Oltralpe monacense e viennese, sperimentato attraverso la formazione veneziana e il clima internazionale delle Biennali, ma soprattutto frutto della formazione presso le Accademie di Belle Arti di Monaco di Baviera e di Vienna.
Il percorso si apre con una piccola selezione di disegni del primo Novecento di Eugenio Scomparini, il primo innovatore della pittura triestina e maestro di molti artisti concittadini e giuliani. Nel solco della tradizione decorativa veneta e di un cromatismo vivace e corposo, celebra le tematiche del progresso ed esalta la società moderna. La medesima vena antiaccademica segna la serie di ritratti femminili e maschili esposti lungo il percorso, di pittori quali Glauco Cambon, Adolfo Levier, Vito Timmel, Giovanni Zangrando e scultori quali Giovanni Mayer e Ruggero Rovan, nei quali alla verosimiglianza dei volti e al realismo dei dettagli si sovrappone l’interpretazione psicologica del soggetto. Tecniche e artisti diversi, attenti a quanto veniva esposto alle Biennali veneziane d’inizio secolo o condizionati dalla formazione artistica sperimentata nelle grandi capitali d’Oltralpe, a cavallo dei due secoli.
In questa prima sezione, oltre agli artisti suddetti, si trovano esposti alcuni interessanti ritratti di Arturo Rietti, pittore triestino che per molto tempo fu attivo a Milano. Agli aspetti della ritrattistica umbratile e introspettiva monacense, nelle opere qui visibili, che comprendono anche i ritratti di due maestri schermidori di fama, si aggiunge anche la suggestione della Scapigliatura lombarda, che rende ancora più delicati e impalpabili i suoi pastelli.

Qui si possono inoltre ammirare alcuni paesaggi – stati d’animo, rispettivamente, di Piero Lucano e Guido Marussig, suggestivi e senza tempo, e la marina di Guido Grimani, imponente nel suo avvolgente contrasto chiaroscurale, rientrano pure loro nell’atmosfera modernista e simbolista d’inizio Novecento, caratterizzati come sono dall’innalzamento dell’orizzonte e dalla tendenza al decorativismo insistito del primo piano.
Le vedute e gli autoritratti di due importanti artisti del panorama locale e giuliano, Antonio Camaur e Piero Marussig, con la loro pittura dai toni chiari e colorati, rappresentano una variante originale in questo percorso, denso di ombre e vibrante di inquietudine.

Camaur, pittore e scultore di Cormons (Gorizia) che studia diversi anni a Vienna, conosce Marussig a Trieste, quando insegna alla Scuola per Capi d’arte, e sviluppa un linguaggio artistico pressoché analogo all’amico, come dimostra il bellissimo Paesaggio (Foro boario di Cormons), molto vicino alla contemporanea pittura dell’amico triestino Marussig rientrato da Parigi, al quale è dedicato l’intenso Ritratto in gesso (1908-1910).
L’attenzione al sociale in chiave artistica, a Trieste come nel linguaggio internazionale, si sofferma in diverse forme anche sulla tematica del lavoro, qui testimoniata dal grande dipinto di Oscar Hermann-Lamb, visione straordinaria per la tecnica divisionista impiegata e per la suggestiva impostazione luministica, e dalle sculture del cormonese Alfonso Canciani e del triestino Vittorio Güttner, dedicate alle figure dei fonditori e del cavatore di pietra. I lavoratori sono ripresi nella fatica quotidiana (Lamb e Güttner) o immortalati in posizione di riposo, come divinità della moderna società.
L’ottocentesca Scuola per Capi d’arte, oggi divenuta Istituto Tecnico “A. Volta”, ha formato gran parte degli artisti triestini, ed anche alcuni artisti regionali. Una selezione di disegni di Napoleone Cozzi, artista poliedrico, originario di Travesio (UD), offre un saggio di quanto si poteva apprendere nella sezione dell’ornato e della decorazione di quella rinomata scuola artistica. Subito accanto è visibile una serie di documenti e una selezione di disegni e studi dello scultore e decoratore ornamentale Romeo Ratman, artista triestino che visse e operò a Londra, dopo un periodo di formazione a Roma. La vocazione decorativa e la sperimentazione di un linguaggio innovativo trovano infine la loro massima espressione nei dipinti del pittore Vito Timmel, di cui sono esposte anche due tele dell’importante serie decorativa realizzata nel 1916 per il Cine – Ideal (più tardi “Cinema Italia”), presentati per la prima volta al pubblico con i supporti lignei originali che ne riportano il titolo.

Gino Parin
La seconda sezione è riservata alla grafica di Gino Parin, una selezione che comprende una sessantina di fogli di grande interesse, che testimoniano le sorprendenti capacità disegnative dell’artista triestino, documentando la sua attività giovanile a partire dall’accademico Studio di mano del 1895, prima opera datata dell’artista giunta fino a noi. Alle pareti si può ammirare, inoltre, una serie di intensi ritratti femminili del pittore triestino di origini ebraiche, oltre ad un intenso autoritratto a matita della fine degli anni Venti.

I grandi maestri del Novecento italiano
La ricchezza di questa terza sezione è data principalmente dalla presenza dei nomi più importanti e prestigiosi dell’arte italiana fra le due guerre, con opere di altissima qualità, che documentano la fase del cosiddetto “ritorno all’ordine”.
Tra tutte le opere esposte prevale il Meriggio di Felice Casorati (1923), capolavoro assoluto delle raccolte del primo Novecento del Museo Revoltella e considerato tra i capolavori dell’intera produzione artistica di Casorati, uno dei pittori più affermati dell’arte italiana. Nella stessa sala si possono ammirare altre opere realizzate dai piu’ prestigiosi maestri del Novecento italiano: il Pastore di Mario Sironi e la Donna al mare di Carlo Carrà, espressioni di un raffinato recupero dell’antico e documenti imprescindibili di quella multiforme e interessante stagione artistica italiana.
Non meno importante è poi La Finestra di Felice Carena (1930), la Fanciulla (1924 circa) del pittore veneziano Guido Cadorin e gli arcaici Gladiatori di Giorgio de Chirico (1932 circa), All’opera di de Chirico è affiancato un dipinto del fratello Alberto Savinio, intitolato Arianna (Nudo sdraiato) del 1939.
Il bronzeo Ritratto del pittore Achille Funi (1928) dello scultore siciliano Francesco Messina conclude degnamente l’esposizione di questa sala.

Il Novecento giuliano
La quarta sezione, dedicata al Novecento giuliano e ubicata nella sala d’angolo, documenta la produzione artistica locale negli anni Venti e Trenta, caratterizzata dal recupero della tradizione artistica italiana e posta a confronto con la produzione a livello nazionale, rappresentata nella precedente sezione (sala centrale).
Anche diversi pittori triestini, assimilando le tendenze nazionali durante i soggiorni di studio a Firenze, a Roma e a Milano, interpretano la donna come emblema di aggraziata bellezza e di solida fisicità. È il caso, ad esempio, della protagonista di Celeste e rosa, opera di Eligio Finazzer Flori o delle floride e malinconiche fanciulle de La corona di San Giovanni (1930) di Dyalma Stultus, artista che nei suoi viaggi a Firenze e a Roma studia la pittura del ‘400 e del ‘500. Risale agli stessi anni la bella Amazzone (1932) di Oscar Hermann Lamb, che dopo aver studiato a Monaco e a Roma, si trasferisce a Vienna nel 1903. Lamb frequenta a Trieste e poi a Vienna lo scultore Alfonso Canciani, nato a Cormons, a cui appartiene il Ritratto del pittore Levier del 1923 qui esposto.
Sono inoltre esposte in questa sezione due opere di Carlo Sbisà, che negli anni Venti studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze: la monumentale Venere della scaletta del 1928 e la delicata e sognante Disegnatrice (1930).
Fa riferimento alla ritrattistica quattro-cinquecentesca il Ritratto di giovinetta di Edmondo Passauro, in cui è ritratta la celebre fotografa triestina Marion Wulz. Si possono inoltre ammirare in questa sezione in cui prevale il soggetto femminile, il delicato Ritratto di fanciulla (1932) di Piero Marussig, l’intenso Autoritratto di Mario Lannes e il dipinto I tre modelli (1929) di Edgardo Sambo, artista e direttore prestigioso del Museo Revoltella tra il 1929 e il 1956.

Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Leonor Fini e Giorgio Carmelich
Nella quinta sezione sono esposte opere di Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Leonor Fini e Giorgio Carmelich, protagonisti imprescindibili del Novecento triestino che, pur maturando stili diversi, hanno condiviso momenti e situazioni che li hanno coinvolti e per certi versi influenzati a vicenda.
Accanto alle due vedute struggenti e metafisiche di Nathan, Scoglio incantato del 1931 e Statua naufragata del 1930, si ammirano i dipinti dell’amico Carlo Sbisà Il palombaro (1931) e la Venere delle conchiglie, che con i dipinti di Nathan condividono il mare e la drammaticità cromatica e luministica.
Il linguaggio figurativo di Sbisà, ed in particolare di Nathan, si avverte nella produzione artistica di Leonor Fini, artista dalla personalità prorompente e fantasiosa, della quale si ammira qui l’inedito Giovanetto travestito da povero, in cui è raffigurato l’amico poeta André Pieyre de Mandiargues, legato al gruppo surrealista di André Breton.
Giorgio Carmelich, prematuramente scomparso a ventidue anni, è qui rappresentato da un consistente e significativo nucleo grafico, oltre che dall’unico dipinto giunto fino a noi, dal titolo Bottiglie, originale interpretazione del movimento cubista.
Vittorio Bolaffio
La sesta sezione è interamente dedicata al pittore goriziano Vittorio Bolaffio, artista appartenente a quella fervida umanità intellettuale che si riuniva a Trieste attorno al caffè Garibaldi e che si manifestava sotto le forme letteraria, figurativa, e più estesamente artistica e culturale. Fu grande amico del poeta Umberto Saba che a lui dedicò versi di struggente bellezza. Di questo artista originale sono esposti alcuni tra i dipinti più rappresentativi, tra tutti Il trittico del porto (1931), donato al Museo Revoltella dall’artista poco prima della sua morte.
Sullo stesso tema del porto, molto caro al pittore, si incentra anche la Scena di porto, un tempo appartenuto a Saba e la serie di trenta disegni, provenienti dal lascito Antonio Morassi: scene popolari che ritraggono per lo più lavoratori al porto e imbarcazioni e che costituiscono probabili studi preparatori per dipinti.

La Secessione romana
La settima e ultima sezione è dedicata alla romana Associazione “Secessione”, costituitasi nel 1912, dopo essersi distaccata dalla ottocentesca Associazione Amatori e Cultori. Qui sono riunite opere di pittura e scultura delle raccolte del Museo Revoltella, che documentano l’opera di ‘alcuni’ di quegli artisti che, numerosi, vi presero parte. Ma le opere esposte, acquisite dal museo in anni e occasioni diverse, appartengono a fasi della produzione artistica di ciascuno non strettamente legate al fenomeno secessionista, fatta eccezione per l’imponente dipinto Macchie di sole (Bambola) del triestino Edgardo Sambo Cappelletti (1912), la veduta del Pincio del toscano Armando Spadini, (1913-1915) e ancora Madonna del pittore torinese Felice Carena (1911). Ai decenni successivi risalgono invece gli altri dipinti e le sculture che qui si ammirano, opere di artisti triestini e italiani, a rappresentare i diversi generi artistici. I paesaggi antinaturalistici del veneziano Teodoro Wolf-Ferrari e del romano Virgilio Guidi, l’interpretazione in chiave espressionista della figura umana, fornita dall’immane Torso d’inverno del triestino Ceconi di Montececon (1936) e dal Nudo sinuoso del toscano Lorenzo Viani. Dal lirico surrealismo di Un canto (1928) di Alberto Martini al plasticismo elegante e delicato della Camilla dello scultore triestino Attilio Selva.
Ed infine, dalla luminosità cromatica dello stupefacente divisionismo della Primula di Plinio Nomellini alla morbidezza cromatica e sensuale dei Ritmi del faentino Giovanni Romagnoli.

Sesto piano
Gli artisti del secondo Novecento
Nell’ultima sala del percorso museale, che con le sue vetrate panoramiche sulla città e sul mare e l’illuminazione dall’alto, costituisce uno dei punti di maggiore attrattività del progetto di Carlo Scarpa, sono raccolte alcune delle opere più rappresentative della sezione dedicata al secondo Novecento italiano.
Quasi tutti i pezzi esposti sono stati acquistati alle Biennali dal 1948 al 1968, continuando una tradizione iniziata con la nascita dell’esposizione veneziana. In questo modo il Museo Revoltella ha potuto aggiornare la sua raccolta inserendo autori che dal dopoguerra in poi andavano emergendo sulla scena artistica italiana a iniziare da scultori come Giacomo Manzù (Il bambino con l’anatra, 1946), Marino Marini (Ritratto di Carrà, 1947), Alberto Viani (Cariatide, 1952) ed Emilio Greco (Ritratto, 1952).

Tra gli autori ancora legati alla figurazione si devono citare Giuseppe Zigaina, che s’inserisce nel filone del realismo con un tema legato alla sua terra come quello dei Braccianti friulani (1952), Renato Guttuso presente con un Nudo del 1959 e Fausto Pirandello, invece, (Matinée, 1952) risente della lezione cubista, mediata dagli influssi della Scuola romana, mentre Bruno Saetti (Madre stanca, 1952) e Domenico Cantatore (Ritratto, 1952), mostrano altre due maniere di superare il Novecentismo tradizionalista, il primo con un’opera caratterizzata da finissimi cromatismi e il secondo rievocando ritmi lineari di matrice modiglianesca. Ben rappresentato è anche il gruppo dei pittori aderenti al “gruppo degli Otto” astratto-concreti (Afro, Corpora, Moreni, Santomaso, Morlotti, Vedova, Birolli e Turcato) presentati alla Biennale di Venezia del 1952 dal critico Lionello Venturi. Di questi artisti il Museo Revoltella possiede opere di notevole interesse, esclusi Birolli e Turcato che non figurano nella raccolta. Alla corrente Informale, invece, che coincide con il definitivo superamento dell’idea tradizionale di pittura, si possono ricondurre le opere di Scanavino (Appeso, 1959), Capogrossi (Superficie 322, 1959) e Burri (Plastica, 1956), mentre lo spazialismo è documentato dalla presenza di Lucio Fontana (Attese, 1968) e Mario De Luigi (Spazio-luce 28). Piuttosto numerose le opere di scultura con nomi di notevole interesse come Arnaldo Pomodoro, Augusto Perez, Quinto Ghermandi, oltre a quelle dei fratelli Basaldella.
