Per lo più conosciuto per la sua consistente e rinomata produzione di ‘nature morte’, Giorgio Morandi (Bologna 1890 – 1964), tra i protagonisti più insigni e affascinanti del panorama artistico del Novecento italiano, nel suo lungo e proficuo percorso artistico realizzò anche un grande numero di paesaggi (poco meno di un quinto della sua opera pittorica, come scrive Bandera nel 2010), rivelando così anche per questo genere pittorico una straordinaria sensibilità.
Ma l’importanza e il pregio del dipinto del Museo Revoltella, una delle opere più importanti dell’intera raccolta artistica, a cui oggi dedichiamo l’approfondimento, sono date dal fatto che si tratta di uno dei rarissimi Paesaggi dipinti dall’artista bolognese nel 1944.
L’opera entrò a far parte delle collezioni del Museo Revoltella nel 1955 e appartiene alla collezione formatasi grazie alla donazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio Zone di Confine, di cui abbiamo già parlato in questa sezione. Mentre la maggior parte delle opere di questa interessante collezione fu acquistata dagli artisti, prevalentemente locali, il dipinto di Morandi, assieme a quello di Pio Semeghini e di ArturoTosi, fu comperato, per 150.000 Lire, alla galleria veneziana “Il Cavallino” di Carlo Cardazzo.
Dal mese di giugno del 1943 Morandi soggiornava con la famiglia a Grizzana, borgo collinare tra Bologna e Firenze, dove aveva affittato la Casa Veggetti, con l’intento di trascorrervi la stagione estiva. La situazione bellica lo costrinse però a fermarsi fino ai primi di settembre del ’44, quando finalmente fece ritorno a Bologna. In questi quattordici mesi il contatto con la natura lo aiutò a maturare una consapevole rassegnazione agli eventi e ad accettare quella condizione di estrema solitudine come “mortalmente serena” (Arcangeli).
La sua attività pittorica, in questo periodo, fu però molto ridotta: tra i paesaggi realizzati, soltanto tre risultano datati 1944. Come aveva scritto lo stesso artista in una lettera a Francesco Arcangeli, per poter dipingere all’aperto era necessario disporre di un permesso del Comando Regionale dell’Esercito Italiano; a causa del pericolo di bombardamenti e per il venir meno dell’autorizzazione, nel settembre del ’43, egli si dovette limitare a riprendere il paesaggio dalle finestre delle due stanze, all’ultimo piano, di Casa Veggetti. “Io lavoro assai poco ed ora non faccio proprio nulla. Mi manca la tranquillità indispensabile al mio lavoro. Ogni giorno gli aerei passano di qui e […] si mitragliano tra loro. Comprenderà se in questa situazione si può pensare alla pittura” (Morandi, 12 maggio 1944, riportato in F. Rinaldi, scheda dell’opera, 2010)
Da questo sopraelevato punto di vista dipinse presumibilmente anche l’opera del Revoltella, eseguito in occasione dell’ultima nevicata caduta sulle colline grizzanesi, nel marzo del 1944. Morandi non accenna qui minimamente all’approssimarsi della primavera, ma dipinge una neve livida che risalta contro il grigio del cielo e del suolo; l’effetto suggerito è quello di una desolante solitudine, ulteriormente accentuata dalla totale assenza della figura umana e di edifici che ad essa rimandino. “Un’opera che risulta essere il riflesso dell’animo angosciato del pittore” (Bandera, 2010)
Paralizzata sotto un manto di neve ed un cielo immobile, la natura sembra perdere consistenza materiale e, come ha scritto Marilena Pasquali, “si svuota di ogni fisicità fino a quasi toccare l’astrazione di un “adagio” musicale ricco di intervalli e di lunghe note gravi”.
BIOGRAFIA
Giorgio Morandi
(Bologna, 1890 – 1964)Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1913, partecipò, l’anno successivo, alla mostra dei futuristi presso la Galleria Sprovieri di Roma ed alla seconda mostra della Secessione romana. Con questi gruppi, tuttavia, Morandi non condivise la ricerca pittorica e mirò, piuttosto, alla definizione di un personale linguaggio figurativo attraverso lo studio dei maestri antichi e moderni, come Cézanne, Derain, il Doganiere Rousseau e i cubisti.
Concentratosi presto sui temi della natura morta e del paesaggio, sottopose la realtà quotidiana ad un processo di scarnificazione formale attraverso l’intensità e la forza del colore. Tra il 1918 ed il 1919 attraversò una breve, ma qualitativamente altissima, fase metafisica, caratterizzata da un estremo il rigore sintetico, che abbandonerà di lì a poco riscoprendo l’interesse per la fisicità delle cose. Nel 1922, de Chirico, presentando Morandi alla Mostra Fiorentina Primaverile, definì la sua pittura “metafisica delle cose quotidiane”. Alla fine degli anni ’20 strinse rapporti con Leo Longanesi e Mino Maccari, avvicinandosi agli artisti e agl’intellettuali gravitanti attorno la rivista «Il Selvaggio». Docente per chiara fama alla cattedra d’incisione dell’Accademia di Bologna dal 1930 al 1957, venne insignito del titolo di Accademico di San Luca nel 1948.
Con la produzione del secondo dopoguerra la ricerca morandiana raggiunse esiti di intensa liricità, tramite l’ascetico rigore stilistico e le sottili vibrazioni cromatiche.
I critici che hanno scritto di lui, tra i quali Raimondi, Longhi, Ragghianti, Brandi, Vitali e Arcangeli, e ancora Pasquali e Bandera, lo hanno consacrato come uno dei più grandi artisti del Ventesimo secolo.