Quinto piano

Lungo la scala che conduce al quinto piano della Galleria si incontrano le sculture Passeggiata (1933) dell’anconitano Quirino Ruggeri e il poderoso Bacio (1931) del triestino Ruggero Rovan.

Arrivati in quinto piano il percorso espositivo comprende sette sezioni, che documentano la produzione artistica triestina e giuliana dai primi anni del Novecento, caratterizzati dal fenomeno delle Secessioni, fino al secondo conflitto mondiale.

Da Venezia a Monaco e Vienna

Accenti secessionisti nell’arte triestina del primo ventennio del Novecento
La prima sezione raccoglie dipinti, sculture e grafica fortemente condizionati dal clima secessionista d’Oltralpe monacense e viennese, sperimentato attraverso la formazione veneziana e il clima internazionale delle Biennali, ma soprattutto frutto della formazione presso le Accademie di Belle Arti di Monaco di Baviera e di Vienna.
Il percorso si apre con una piccola selezione di disegni del primo Novecento di Eugenio Scomparini, il primo innovatore della pittura triestina e maestro di molti artisti concittadini e giuliani. Nel solco della tradizione decorativa veneta e di un cromatismo vivace e corposo, celebra le tematiche del progresso ed esalta la società moderna. La medesima vena antiaccademica segna la serie di ritratti femminili e maschili esposti lungo il percorso, di pittori quali Glauco CambonAdolfo LevierVito TimmelGiovanni Zangrando e scultori quali Giovanni Mayer e Ruggero Rovan, nei quali alla verosimiglianza dei volti e al realismo dei dettagli si sovrappone l’interpretazione psicologica del soggetto. Tecniche e artisti diversi, attenti a quanto veniva esposto alle Biennali veneziane d’inizio secolo o condizionati dalla formazione artistica sperimentata nelle grandi capitali d’Oltralpe, a cavallo dei due secoli.
In questa prima sezione, oltre agli artisti suddetti, si trovano esposti alcuni interessanti ritratti di Arturo Rietti, pittore triestino che per molto tempo fu attivo a Milano. Agli aspetti della ritrattistica umbratile e introspettiva monacense, nelle opere qui visibili, che comprendono anche i ritratti di due maestri schermidori di fama, si aggiunge anche la suggestione della Scapigliatura lombarda, che rende ancora più delicati e impalpabili i suoi pastelli.

Qui si possono inoltre ammirare alcuni paesaggi – stati d’animo, rispettivamente, di Piero Lucano e Guido Marussig, suggestivi e senza tempo, e la marina di Guido Grimani, imponente nel suo avvolgente contrasto chiaroscurale, rientrano pure loro nell’atmosfera modernista e simbolista d’inizio Novecento, caratterizzati come sono dall’innalzamento dell’orizzonte e dalla tendenza al decorativismo insistito del primo piano.
Le vedute e gli autoritratti di due importanti artisti del panorama locale e giuliano, Antonio Camaur e Piero Marussig, con la loro pittura dai toni chiari e colorati, rappresentano una variante originale in questo percorso, denso di ombre e vibrante di inquietudine.

Camaur, pittore e scultore di Cormons (Gorizia) che studia diversi anni a Vienna, conosce Marussig a Trieste, quando insegna alla Scuola per Capi d’arte, e sviluppa un linguaggio artistico pressoché analogo all’amico, come dimostra il bellissimo Paesaggio (Foro boario di Cormons), molto vicino alla contemporanea pittura dell’amico triestino Marussig rientrato da Parigi, al quale è dedicato l’intenso Ritratto in gesso (1908-1910).
L’attenzione al sociale in chiave artistica, a Trieste come nel linguaggio internazionale, si sofferma in diverse forme anche sulla tematica del lavoro, qui testimoniata dal grande dipinto di Oscar Hermann-Lamb, visione straordinaria per la tecnica divisionista impiegata e per la suggestiva impostazione luministica, e dalle sculture del cormonese Alfonso Canciani e del triestino Vittorio Güttner, dedicate alle figure dei fonditori e del cavatore di pietra. I lavoratori sono ripresi nella fatica quotidiana (Lamb e Güttner) o immortalati in posizione di riposo, come divinità della moderna società.
L’ottocentesca Scuola per Capi d’arte, oggi divenuta Istituto Tecnico “A. Volta”, ha formato gran parte degli artisti triestini, ed anche alcuni artisti regionali. Una selezione di disegni di Napoleone Cozzi, artista poliedrico, originario di Travesio (UD), offre un saggio di quanto si poteva apprendere nella sezione dell’ornato e della decorazione di quella rinomata scuola artistica. Subito accanto è visibile una serie di documenti e una selezione di disegni e studi dello scultore e decoratore ornamentale Romeo Ratman, artista triestino che visse e operò a Londra, dopo un periodo di formazione a Roma. La vocazione decorativa e la sperimentazione di un linguaggio innovativo trovano infine la loro massima espressione nei dipinti del pittore Vito Timmel, di cui sono esposte anche due tele dell’importante serie decorativa realizzata nel 1916 per il Cine – Ideal (più tardi “Cinema Italia”), presentati per la prima volta al pubblico con i supporti lignei originali che ne riportano il titolo.

Gino Parin

La seconda sezione è riservata alla grafica di Gino Parin, una selezione che comprende una sessantina di fogli di grande interesse, che testimoniano le sorprendenti capacità disegnative dell’artista triestino, documentando la sua attività giovanile a partire dall’accademico Studio di mano del 1895, prima opera datata dell’artista giunta fino a noi. Alle pareti si può ammirare, inoltre, una serie di intensi ritratti femminili del pittore triestino di origini ebraiche, oltre ad un intenso autoritratto a matita della fine degli anni Venti.

I grandi maestri del Novecento italiano

La ricchezza di questa terza sezione è data principalmente dalla presenza dei nomi più importanti e prestigiosi dell’arte italiana fra le due guerre, con opere di altissima qualità, che documentano la fase del cosiddetto “ritorno all’ordine”.
Tra tutte le opere esposte prevale il Meriggio di Felice Casorati (1923), capolavoro assoluto delle raccolte del primo Novecento del Museo Revoltella e considerato tra i capolavori dell’intera produzione artistica di Casorati, uno dei pittori più affermati dell’arte italiana. Nella stessa sala si possono ammirare altre opere realizzate dai più prestigiosi maestri del Novecento italiano: il Pastore di Mario Sironi e la Donna al mare di Carlo Carrà, espressioni di un raffinato recupero dell’antico e documenti imprescindibili di quella multiforme e interessante stagione artistica italiana.
Non meno importante è poi La Finestra di Felice Carena (1930), la Fanciulla (1924 circa) del pittore veneziano Guido Cadorin e gli arcaici Gladiatori di Giorgio de Chirico (1932 circa). All’opera di de Chirico è affiancato un dipinto del fratello Alberto Savinio, intitolato Arianna (Nudo sdraiato) del 1939.

Nella sala dei capolavori del Novecento italiano è allestito anche il bozzetto articolato in quattro sculture che lo scultore Arturo Martini presentò al concorso del 1934, indetto per il Monumento a Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, da collocare in Piazza Castello a Torino.

Il bronzeo Ritratto del pittore Achille Funi (1928) dello scultore siciliano Francesco Messina conclude degnamente l’esposizione di questa sala.

Il Novecento giuliano

La quarta sezione, dedicata al Novecento giuliano e ubicata nella sala d’angolo, documenta la produzione artistica locale negli anni Venti e Trenta, caratterizzata dal recupero della tradizione artistica italiana e posta a confronto con la produzione a livello nazionale, rappresentata nella precedente sezione (sala centrale).
Anche diversi pittori triestini, assimilando le tendenze nazionali durante i soggiorni di studio a Firenze, a Roma e a Milano, interpretano la donna come emblema di aggraziata bellezza e di solida fisicità. È il caso, ad esempio, della protagonista di Celeste e rosa, opera di Eligio Finazzer Flori o delle floride e malinconiche fanciulle de La corona di San Giovanni (1930) di Dyalma Stultus, artista che nei suoi viaggi a Firenze e a Roma studia la pittura del ‘400 e del ‘500. Risale agli stessi anni la bella Amazzone (1932) di Oscar Hermann Lamb, che dopo aver studiato a Monaco e a Roma, si trasferisce a Vienna nel 1903. Lamb frequenta a Trieste e poi a Vienna lo scultore Alfonso Canciani, nato a Cormons, a cui appartiene il Ritratto del pittore Levier del 1923 qui esposto.
Sono inoltre esposte in questa sezione due opere di Carlo Sbisà, che negli anni Venti studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze: la monumentale Venere della scaletta del 1928 e la delicata e sognante Disegnatrice (1930).
Fa riferimento alla ritrattistica quattro-cinquecentesca il Ritratto di giovinetta di Edmondo Passauro, in cui è ritratta la celebre fotografa triestina Marion Wulz. Si possono inoltre ammirare in questa sezione in cui prevale il soggetto femminile, il delicato Ritratto di fanciulla (1932) di Piero Marussig, l’intenso Autoritratto di Mario Lannes e il dipinto I tre modelli (1929) di Edgardo Sambo, artista e direttore prestigioso del Museo Revoltella tra il 1929 e il 1956.

 
Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Leonor Fini e Giorgio Carmelich

Nella quinta sezione sono esposte opere di Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Leonor Fini e Giorgio Carmelich, protagonisti imprescindibili del Novecento triestino che, pur maturando stili diversi, hanno condiviso momenti e situazioni che li hanno coinvolti e per certi versi influenzati a vicenda.
Accanto alle due vedute struggenti e metafisiche di Nathan, Scoglio incantato del 1931 e Statua naufragata del 1930, si ammirano i dipinti dell’amico Carlo Sbisà Il palombaro (1931) e la Venere delle conchiglie, che con i dipinti di Nathan condividono il mare e la drammaticità cromatica e luministica.
Il linguaggio figurativo di Sbisà, ed in particolare di Nathan, si avverte nella produzione artistica di Leonor Fini, artista dalla personalità prorompente e fantasiosa, della quale si ammira qui l’inedito Giovanetto travestito da povero, in cui è raffigurato l’amico poeta André Pieyre de Mandiargues, legato al gruppo surrealista di André Breton.
Giorgio Carmelich, prematuramente scomparso a ventidue anni, è qui rappresentato da un consistente e significativo nucleo grafico, oltre che dall’unico dipinto giunto fino a noi, dal titolo Bottiglie, originale interpretazione del movimento cubista.

Vittorio Bolaffio

La sesta sezione è interamente dedicata al pittore goriziano Vittorio Bolaffio, artista appartenente a quella fervida umanità intellettuale che si riuniva a Trieste attorno al caffè Garibaldi e che si manifestava sotto le forme letteraria, figurativa, e più estesamente artistica e culturale. Fu grande amico del poeta Umberto Saba che a lui dedicò versi di struggente bellezza. Di questo artista originale sono esposti alcuni tra i dipinti più rappresentativi, tra tutti Il trittico del porto (1931), donato al Museo Revoltella dall’artista poco prima della sua morte.
Sullo stesso tema del porto, molto caro al pittore, si incentra anche la Scena di porto, un tempo appartenuto a Saba e la serie di trenta disegni, provenienti dal lascito Antonio Morassi: scene popolari che ritraggono per lo più lavoratori al porto e imbarcazioni e che costituiscono probabili studi preparatori per dipinti.

La Secessione romana

La settima e ultima sezione è dedicata alla romana Associazione “Secessione”, costituitasi nel 1912, dopo essersi distaccata dalla ottocentesca Associazione Amatori e Cultori. Qui sono riunite opere di pittura e scultura delle raccolte del Museo Revoltella, che documentano l’opera di ‘alcuni’ di quegli artisti che, numerosi, vi presero parte. Ma le opere esposte, acquisite dal museo in anni e occasioni diverse, appartengono a fasi della produzione artistica di ciascuno non strettamente legate al fenomeno secessionista, fatta eccezione per l’imponente dipinto Macchie di sole (Bambola) del triestino Edgardo Sambo Cappelletti (1912), la veduta del Pincio del toscano Armando Spadini, (1913-1915) e ancora Madonna del pittore torinese Felice Carena (1911). Ai decenni successivi risalgono invece gli altri dipinti e le sculture che qui si ammirano, opere di artisti triestini e italiani, a rappresentare i diversi generi artistici. I paesaggi antinaturalistici del veneziano Teodoro Wolf-Ferrari e del romano Virgilio Guidi, l’interpretazione in chiave espressionista della figura umana, fornita dall’immane Torso d’inverno del triestino Ceconi di Montececon (1936) e dal Nudo sinuoso del toscano Lorenzo Viani. Dal lirico surrealismo di Un canto (1928) di Alberto Martini al plasticismo elegante e delicato della Camilla dello scultore triestino Attilio Selva.
Ed infine, dalla luminosità cromatica dello stupefacente divisionismo della Primula di Plinio Nomellini alla morbidezza cromatica e sensuale dei Ritmi del faentino Giovanni Romagnoli.

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