Questo ed altri dipinti entrarono probabilmente nel circuito triestino poiché il Caffi soggiornò nella città per due volte: nel 1839 e nel ’40. In occasione della prima visita raccolse notevoli commissioni, che eseguì nello studio veneziano, per consegnarle, nei mesi successivi, in occasione del suo rientro nella città, quando intervenne alla Prima Esposizione di Belle arti Triestina con otto vedute. Il dipinto in questione potrebbe essere La festa di S. Pietro di Castello in Venezia che Caffi consegnò a Leone Hierschel nel Natale del 1839. Il dipinto in questione è ricordato dal Parin (Tempi andati, Trieste 1891, 4° ediz. 1926) il quale registra nelle collezione dello Hierschel il dipinto del Caffi.
Della Festa a Castello esistono altre due versioni simili, al Museo Civico di Belluno e in collezione privata a Trieste (G. Pavanello, 1983). In questi dipinti la veduta del Caffi combina astutamente effetti di luce artificiale con il trascolorare, attraverso le nubi, della luce lunare. Lo studio di raffigurazioni di feste notturne con bagliori e fuochi artificiali non gli era affatto inconsueto poiché, già nel ’37 a Roma, riproducendo scene carnevalesche, aveva realizzato i cosiddetti “moccoletti” che furono di grande successo, come viene confermato dalle innumerevoli versioni realizzate per soddisfare la grande richiesta. Proprio nella sua venuta a Trieste nel ’39 consegnò a Pietro Sartorio un esemplare de La festa dei moccoli a Roma.
Si noti come, tanto nei dipinti dedicati alla festa veneziana al Castello, quanto in quelli del carnevale romano, il Caffi abbia applicato, seppur con alcune varianti, un principio che lui stesso aveva suggerito ai pittori di vedute: «Il punto di vista può collocarsi in qualunque parte dell’orizzonte. Questa linea suol essere alta quanto si dee supporre lo spettatore, di modo che se tu rappresenti fatti popolari che si possono credere veduti da finestra o da altro luogo eminente, devi innalzare la linea dell’orizzonte…» (I. Caffi, 1841).