All’isola della Giudecca e all’ampio specchio d’acqua che la separa da Venezia, Guglielmo Ciardi, il più grande paesaggista veneto dell’Ottocento, ha dedicato molte impressioni dal vero, affascinato dal mutare continuo di quello scenario per effetto del gioco dei riflessi tra cielo e laguna.
Il dipinto appartiene alla fase matura dell’artista e rappresenta la ripresa di un soggetto che egli aveva trattato con esiti molto personali già nel 1868 (data di esecuzione del famoso Canale della Giudecca della Galleria di Ca’Pesaro) quando aveva da poco terminato gli studi all’Accademia di Venezia e ancora non aveva compiuto il viaggio di studio a Firenze, Roma e Napoli che gli avrebbe fatto conoscere i Macchiaioli e la Scuola di Posillipo.
Per il rigoroso impianto prospettico, la composizione è certamente influenzata dal vedutismo veneto del Settecento, ma risente, ovviamente, delle ricerche dal vero che caratterizzano la pittura del secondo Ottocento, combinando il perfetto equilibrio del disegno con l’atmosfera vaporosa e grigia di quel mattino annuvolato, attraverso una pennellata leggera e una raffinata scelta di tinte tra il bruno e il grigio.
La tela è occupata per metà dalla quinta architettonica delle Fondamenta delle Zitelle, di cui l’artista ci descrive le case e l’andirivieni mattutino: il ritorno a riva delle barche, i giochi dei bimbi seduti per terra, le tende che riparano dal sole botteghe e osterie, la biancheria stesa ad asciugare sull’altana. Sullo sfondo si vede la grande cupola della chiesa del Redentore. Nella parte sinistra, invece, lo sguardo si perde sulla superficie increspata dell’acqua fino alla lontana isola di San Giorgio, che si intravede sulla linea azzurrina dell’orizzonte fra le vele che solcano il bacino di San Marco.