Nel 1931 a Udine, in occasione della V Mostra Regionale d’arte, il dipinto Solitudine partecipa con certezza per la prima volta ad un’esposizione pubblica, assieme alla tavola La statua naufragata di proprietà del Museo Revoltella. Malabotta descrive con accuratezza le due opere: «[Nathan] ha esposto due tra i suoi migliori dipinti: una “solitudine” e una “statua naufragata”. In entrambi vediamo i motivi ed i simboli cari alla pittura del Nathan, ma il modo di esprimerli s’è fatto più saggiato e più efficace, il significato è stato reso con maggior compiutezza pittorica. Apparizioni incantate tra le quali l’artista si dibatte cercando il suo mondo fantastico: mondo chiuso, troppo chiuso, magari». Il Girmounsky nel 1935 nella monografia dedicata al pittore triestino segnala l’opera di proprietà del critico Malabotta. In Solitudine Nathan usa pigmenti scuri, cupi, abbandonando i toni chiari; il cambiamento cromatico avviene nel 1929, come precisa Malabotta nell’articolo pubblicato in “La Casa Bella” del 1932, in cui riferisce di una tavolozza “austera”. La pittura lenta e meditata di Nathan mette sulla tavola il suo mondo interiore, il senso di disagio e di incertezza di fronte ad una natura silenziosa, dove i simboli di un passato decaduto fanno meditare sull’ineluttabilità del tempo che passa, regalandoci un’immagine “quasi giottesca” (Sgarbi, 1992). Per Malabotta la pittura di Nathan appartiene pienamente al mondo internazionale del “Realismo magico” (Lucchese, 2009) descrivendo «un mondo interiore e incontrollabile, fantastico e reale a un tempo. L’artista si compiace sempre di rivivere stati d’animo romantici (ma d’un romanticismo attuale, pensoso) nella raffigurazione di paesaggi che, se con i loro soggetti, ti portano nella metà dell’ottocento, nella loro severità e nella squallida tragedia statica della composizione ti suscitano sensazioni nuove, intense» (“Il popolo di Trieste”, 1930). È evidente una certa analogia con la pittura di De Chirico, ma Malabotta giustamente sottolinea «quanta differenza tra la foga e la vitalità del “parigino” e la calma pensosa e tragica del nostro. Se mai, in alcuni dipinti, potremo trovare affinità, tra i due, in alcuni dettagli figurativi ma che contano, in opere che traggono la loro ragione d’essere dal contenuto e dal significato interiore? Si potranno invece piuttosto trovare dei richiami alla maniera del Carrà, specie nelle risorse tecniche» (Malabotta, 1932). A tale proposito sono chiarificatrici le parole di Nathan stesso, desunte da una lettera inviata all’amico Carlo Sbisà durante il confino nelle Marche (1940-43): «Io vorrei fuggire la stilizzazione decorativa, che mi sembra una forma non alta, e talvolta addirittura un vezzo non degno, e riuscire invece ad alte evocazioni della realtà, cioè a quella forma d’arte che Carrà chiama realismo magico».
Di Arturo Nathan il Museo Revoltella possiede altri tre paesaggi, rispettivamente, Scoglio incantato, 1931, olio su tavola, 65×90 cm, inv. 2181, Spiaggia con frammenti, 1934, olio su tavola, 65×90 cm, inv. 4799 e Statua naufragata, 1930, olio su tela, 65×91,5 cm, inv. 2182.