L’opera fu citata per la prima volta, ma non riprodotta, nel catalogo del Museo Revoltella del 1933 e nel ’34 fu illustrata, limitatamente alla parte superiore, nell’articolo pubblicato su “Pan” da Silvio Benco, che ne fece il “documento di un’epoca”, espressione di quella «borghesia levigata alla superficie, studiosa delle abitudini signorili; nel fondo ancora popolaresca, ancora attaccata al bicchiere, al batter carte, alle lepidezze schioccanti che fanno sghignazzare i maschi e arrossire le donne»; l’artista apparteneva, dunque, secondo Benco, a questo mondo un po’ volgare e il suo autoritratto “umoristico” lo dimostrava efficacemente: «sciolto le brache, si libera del pondo d’un desinare in casa d’epicurei; e accanto a sé ha posato a terra un compitissimo cappello a cilindro.» Anche Marini, nel 1952, interpretò questo lavoro solo come una parentesi scherzosa nel suo lavoro di ritrattista («Per una boccacesca burla, infatti, il pittore s’era voluto dipingere su quella porta nell’atto dell’ignobile rito. Eppure quest’immagine nata in un momento di comicità triviale non poteva darci con più confessata sincerità, con più immediata evidenza l’animus dell’artista nel suo primo soggiorno sotto il colle di San Giusto») e come l’autorappresentazione di un semplice e di un gaudente. Solo Coronini, nel 1966, si pose il problema della qualità artistica del dipinto, che, riteneva un vero capolavoro per “l’importanza decisiva che la rappresentazione più efficace, più immediata, più icastica della realtà” andava assumendo nell’arte di Tominz, “fino a ricercare l’illusionismo assoluto”. È indubbio che il modo in cui Tominz scelse di rappresentarsi nel pieno della sua maturità, umana e artistica, ha un carattere anticonformista e provocatorio, che risalta ancor di più se si confronta con l’immagine idealizzata dell’Autoritratto col fratello Francesco (Pinacoteca di Palazzo Attems, Gorizia). Ed è probabile che sia frutto della reazione ad un mestiere che lo obbligava continuamente a camuffare la realtà, di cui si colgono i segni anche in altri ritratti della seconda metà degli anni Trenta, caratterizzati da un ostentato realismo.
Del grande ritrattista goriziano il Museo Revoltella conserva circa una ventina di ritratti, ovvero, l’Architetto Valle e figlia [1829], olio su tela, 75×98 cm, inv. 2752; Carlo Drago Popovich [1830-35], olio su tela, 123×87 cm, inv. 684; Filippo Amodeo [1822-30], olio su tela, 85×71 cm, inv. 2472; Giorgio Strudthoff, 1834, olio su tela, 54×45 cm, inv. 3469; Il pittore Giuseppe Bernardino Bison [1830], olio su tela, 51×42 cm, inv. 94; Il pittore Gatteri e signora [1829-30], olio su tela, 83×71 cm, inv. 95; Ritratto del dottor Petrovich [1830-35], olio su tela, 78×68 cm, inv. 2137; Ritratto del dottor Goracuchi [1835], olio su tela, 65×50 cm, inv. 91; Ritratto del maestro Edele [1840], olio su tela, 225×150 cm, inv. 2748; Ritratto di Francesco Holzknecht [1830-35], olio su tela, 79×68 cm, inv. 448; Ritratto di Giuseppina Holzknecht [1830-35], olio su tela, 93×96 cm, inv. 449; Ritratto di vecchia signora [1850-55], olio su tela, 76×68 cm, inv. 93; Ritratto di vecchio signore [1851-55], olio su tela, 75×68 cm, inv. 92; Ritratto maschile [1830-35], olio su tela, 64×52 cm, inv. 3000; Ritratto maschile [1831-35], olio su tela, 62×49 cm, inv. 3745.