Dalle raccolte del museo Revoltella. Tendenze artistiche a Trieste nel secondo Novecento

La XXIV Biennale di Venezia del 1948 riveste un ruolo di particolare significato, sia perché segna la ripresa della vita artistica ed espositiva dopo la terribile esperienza della Seconda guerra mondiale, sia perché sceglie di rappresentare in questa storica occasione artisti e collezioni (come quella inedita di Peggy Guggenheim) di grande prestigio e consolidata fama mondiale, che avrebbero condizionato fortemente il linguaggio artistico della generazione dei pittori nati a partire dal primo decennio del Novecento.

La presenza delle opere di Pablo Picasso, in special modo, costituisce un modello significativo e di forte attrazione anche per gli artisti triestini, nati nel primo quarto del Novecento, quasi tutti autodidatti e accomunati dalla tendenza a consolidare la propria formazione artistica guardando soprattutto a Venezia più che altrove. La maggior parte di loro, inoltre, sviluppa un’abilità decorativa di altissimo livello che trova la migliore espressione nei prestigiosi interni delle grandi navi passeggeri, in notevole ripresa nel corso degli anni Cinquanta.

Dal 1950 in poi le loro opere iniziano ad entrare in museo, contribuendo a documentare le varie tendenze artistiche del momento in città, a ridosso della guerra, per lo più incanalabili nei due filoni fondamentali del figurativismo e dell’astrattismo e tuttavia mai prive di ricercata e originale personalità.

Divergono alquanto rispetto alla maggior parte degli artisti qui rappresentati, per anzianità e per una formazione artistica più tradizionale, i due pittori dalle cui opere prende avvio il percorso espositivo: il Tramonto (1950) di Romano Rossini, di intenso e suggestivo carattere neoimpressionista, e le vedute parigine della fine degli anni Venti del fiumano Enrico Fonda che, scomparso prematuramente neppure quarantenne, più che la figura umana, ama il paesaggio, reso con mirabile e lirica sintesi formale.

D’impatto notevole per l’audace taglio compositivo e il marcato espressionismo delle figure, il grande dipinto dei Pescatori (1956) di Romolo Bertini riflette chiaramente la sua ascendenza dal linguaggio neorealista, mutuato in parte dall’amico friulano Armando Pizzinato, all’epoca in cui Bertini soggiorna a Venezia, tra il 1945 e il 1948. Non diversamente dal neorealismo di denuncia e d’impegno sociale di quest’ultimo, il linguaggio di Sabino Coloni nel dipinto Utensili e paesaggio (1957), dagli esuberanti accenti cromatici, evoca la presenza umana attraverso la raffigurazione dei suoi oggetti, surreali e fiabeschi, al pari degli edifici fantasiosi e coloratissimi di Livio Rosignano, soggetti del suo fantasmagorico Paesaggio (1950-55), così lontano dai più noti dipinti successivi del pittore istriano, liricamente evanescenti e cromaticamente sobri.

Alla XXV Biennale di Venezia il Museo Revoltella acquista tre opere di considerevole significato e importanza: Composizione con scacchi (1950 ca.) di Romeo DaneoFigura (1949) di Dino Predonzani e Orto in valle lunga (1950 ca. ) di Nino Perizi, ciascuna rappresentativa di uno stile innovativo e fortemente condizionato dallo spirito antitradizionalista di quegli anni cruciali. Alla potente trasfigurazione geometrica degli scacchi di Daneo, fa da contrappeso la pacata e composta sembianza della Figura di Predonzani, dall’espressione enigmatica e mirabilmente sbalzata sul fondo rosso e blu. A questi due capolavori degli anni Cinquanta fa da contrappunto il dipinto Orto in valle lunga di Nino Perizi, che assieme all’Autoritratto (1954) in veste di torero, costituisce un mirabile esempio di un linguaggio di estrema semplificazione formale, chiaramente condizionato dalla lezione cubista.

Affiancato all’Autoritratto di Perizi, sopra citato, è il Suonatore di tromba (1957 ca.) di Rinaldo Lotta, che con il precedente condivide il vivace linguaggio neocubista. Il volto e lo strumento del musicista appaiono incastonati in un intrico di piani multicolori, gli stessi piani strutturali e scomposti che ritroviamo nella magnifica veduta di Villa San Lorenzo a Portorose (1951), dello stesso Lotta.

Rinaldo Lotta, Suonatore di tromba, 1957 circa, olio su tavola, inv. 3503

La verde veduta dell’Estate (1957) di Franco Orlando, come i dipinti precedenti, appare frammentata in molteplici piani, qui delimitati dall’intreccio dei rami degli alberi in primo piano.

L’imponente figura del Pescatore (1957) di Federico Righi, di picassiana memoria nell’alterato rigonfiamento volumetrico degli arti resi plastici grazie ad un efficace tonalismo, si accompagna alla Natura morta (1953) dello stesso autore: una fiabesca veduta di un interno/esterno (da notare il magico effetto stellare sul cielo azzurro), contraddistinta dalla compresenza di spazialità, data dalla prospettiva del tavolo, e bidimensionalità, conferita alla composizione dalle soprastanti tarsie cromatiche contrapposte.

Risale ai primi anni Cinquanta anche il magnifico Leopardo bronzeo di Tristano Alberti, che si allunga con raffinata eleganza e rigore plastico tra I dipinti. Allievo del cormonese Alfonso Canciani, Alberti prosegue la sua formazione da autodidatta, sperimentando via via una grande quantità di materiali diversi e specializzandosi nella produzione di animali, dopo la sua partecipazione con un Gatto alla Quadriennale romana del 1951, con cui ottiene il Premio per la Scultura.

Romeo Daneo, Gatti e uccelli, 1950, olio su tela, inv. 4876

Si avvicina all’opera appena descritta il dipinto di Romeo Daneo, Gatti e uccelli (1950), un vorticoso intreccio di forme e colori che conferma l’inesauribile vena creativa di questo validissimo artista triestino che, anche nel grande dipinto intitolato Spaventacchio (1967), svela un’ulteriore attitudine della sua versatilità.

Di grande impatto visivo per l’accesa cromia si rivela la Composizione orizzontale (1955) di Alice Psacaropulo, allieva di Felice Casorati durante la Seconda guerra mondiale e artista molto apprezzata dai critici Silvio Benco e Gillo Dorfles e la Natura morta (1947) del Lotta, in cui il linguaggio neocubista che caratterizza altre sue opere, si stempera in una composizione più ordinata e leggibile nella sua oggettualità.

Da considerare inoltre due grandi dipinti di Dino Predonzani, autore della Figura blu in campo rosso, inizialmente descritta, che documentano la rapida evoluzione dello stile di questo straordinario artista originario di Capodistria, verso gli anni Settanta: Figura nera (1962), straniante presenza informe calata in una surreale atmosfera cristalizzata e Composizione caduta (1971), gioco di parole che individua una rigorosa composizione in bianco e nero nel momento in cui si sta ‘sgretolando’.

Il dipinto di Luigi Spacal, Carso d’autunno (1968) rappresenta un manifesto inconfondibile di questo pittore legato all’avanguardia artistica e molto vicino all’ambiente antifascista milanese di Corrente, che elabora un linguaggio molto personale, ricco di elementi stranianti e atmosfere magiche, fortemente suggestionato dalla terra carsica e istriana. Se nel dipinto Spacal evoca la sua terra natìa, il Carso, mediante simboli e icone che si ripetono infinite volte nelle sue composizioni, nella scultura Spazio e tempo (1953), dalla formidabile struttura a clessidra, proietta sul legno le partiture geometriche di un linguaggio segnico in cui è trasfigurata l’immagine della città.

Rigore disegnativo e assetto compositivo impeccabile sembrano, invece, accomunare il Triangolo in nero (1972) di Livio Schiozzi e la Colonna nera (1955) di Guido Marussig, due validissimi artisti triestini che, all’intensa e multiforme attività artistica, affiancano una continuativa attività didattica di prestigioso livello.

Devono inoltre essere citate alcune opere che risentono pienamente del rivoluzionario clima informale degli anni Sessanta. La Fuga in Egitto (1961) di Miela Reina, figura centrale del rinnovamento artistico a Trieste negli anni del Dopoguerra la cui arte geniale spazia tra teatro, pittura, decorazione, illustrazione, disegno, ci colpisce per la forza espressiva del colore, protagonista assoluto di questa folgorante composizione. Come in Miela, ma con un’impostazione cromatica del tutto opposta, anche nel Segno dello zodiaco (1960) di Maria Lupieri la figurazione soggiace all’urgenza della gestualità e della materia pittorica e altrettanto vale per il dipinto Mezzo bianco, mezzo nero (1970 ca.) di Romeo Daneo.

L’imponente Trittico Grande composizione a+b+c (1967) di Nino Perizi, di cui ricordiamo bene lo stile neocubista degli anni Cinquanta, si inserisce del tutto nel contesto dell’Espressionismo astratto (o Informale) di questo periodo, preferendo alla valorizzazione del colore, la potenza espressiva del segno, qui imponente e particolarmente aggressivo. All’importanza del colore e della sua capacità evocativa del mondo naturale ci riconduce Edoardo Devetta, artista vicino all’ambiente milanese di Corrente che nei due dipinti Festa in mare (1963) e Paesaggio in grigio (1960-65) non rinuncia al richiamo allusivo di una poetica realtà.

Ci sono poi le significative interpretazioni dei luoghi cittadini di due importanti artisti, pressoché coetanei: Marino Sormani, che nelle due tempere intitolate Chioggia (1965 ca.) e Cava (1968) svela la sua dominante indole di grafico raffinato e Giorgio Titz, artista scenografo e decoratore che si forma a Milano e che nel suo fantastico Motivo di città (1957) traspone un certo gusto per l’ordine e la razionalità compositiva.

Un accenno doveroso, infine, alle due sculture in legno, iI Ritratto del pittore Augusto Cernigoj (1937 ca.) di Ugo Carà e il Gallo (1955) di Giuseppe Negrisin. L’opera di Carà, esposta nel 1937 a Berlino ed elogiata da Umbro Apollonio, certifica la notevole capacità plastica dello scultore muggesano, che nel ritratto dell’amico Cernigoj, protagonista dell’avanguardismo artistico locale, si consolida in un ritratto intrigante per il mirabile connubio tra realismo e sintesi formale. Potenza espressiva prorompente unita ad una certa minuziosità descrittiva sono invece le caratteristiche salienti del grande Gallo del muggesano Negrisin, attento allievo di Marcello Mascherini che si cimentò con successo nel trattamento di una molteplicità di soggetti e di materiali diversi.

 

Bruno Chersicla, Fastigio di Palazzo Stratti, 1985 circa, legno, inv. 4771

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