art&cinema – FUTURISTICHERIE
quarto appuntamento al Museo Revoltella
“il cinema al tempo di Carmelich”
Prosegue al Museo Revoltella il ciclo di proiezioni e incontri “art&cinema – futuristicherie”, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Trieste in collaborazione con La Cappella Underground. Il quarto appuntamento della rassegna sarà presentato sabato 20 marzo alle ore 17.30 all’Auditorium del Museo Revoltella con un programma esplicitamente dedicato a “Il cinema al tempo di Carmelich”: saranno proiettati il cortometraggio “Golf” di Tom Buckingham e Larry Semon, slapstick comedy del 1922 con il famosissimo personaggio di Ridolini e con Oliver Hardy; e il lungometraggio “L’Inhumaine”, realizzato in Francia nel 1924 da Marcel L’Herbier con la collaborazione di artisti come Fernand Léger e Robert Mallet-Stevens, distribuito in Italia con il titolo “Futurismo”. La manifestazione propone un percorso attraverso il futurismo, le avanguardie e il cinema al tempo di Giorgio Carmelich, prendendo spunto dalla mostra museale “Giorgio Carmelich. Futuristicherie. Viaggi d’arte fra Trieste, Roma e Praga” visitabile fino al 5 aprile. E’ previsto un biglietto unico di Euro 4 per la visita alla mostra di Giorgio Carmelich e accesso alle proiezioni.
Il soggetto di partenza de “L’inhumaine” ha a che fare con ciò che sarebbe poi stato definito “science fiction”: nel mondo del futuro, Einar Norsen (Jacque Catelain) è un fisico ensteiniano che si serve dei robot e della televisione e scopre il modo per resuscitare i morti. Follemente innamorato della cantante Claire Lescot (Georgette Leblanc), soprannominata “l’inumana” per la sua freddezza, dopo la morte di lei per il morso di un serpente velenoso, secondo la trama ordita da un malvagio principe indiano, la la riporterà in vita con un marchingegno di sua invenzione. La storia della realizzazione del film è essa stessa testimonianza del fermento artistico e culturale dell’epoca. Nel 1924 Marcel L’Herbier cominciò a lavorare ad un film ambizioso, anche grazie alla sue amicizia con lo scrittore Maeterlinck e con l’allora sua moglie Georgette Leblanc, attrice apprezzata in Francia e soprattutto negli Stati Uniti: fu proprio quest’ultima, infatti, a comunicare a L’Herbier che Otto Kahn, noto esponente del mondo finanziario di New York, era interessato – assieme ad altri pezzi grossi – ad un film che oltre ad averla come interprete fosse frutto delle tendenze dell’arte francese dell’epoca. Il film fu presentato dal distributore italiano come “un dramma passionale futurista che si svolge nel 1950” e si avvaleva di prestigiose collaborazioni: il romanziere Pierre Mac Orlan alla sceneggiatura, Paul Poiret responsabile di abiti e costumi, Darius Milhaud autore della musica, l’architetto Robert Mallett-Stevens si occupò di scene e arredi; fondamentali, però, i contributi del pittore cubista Fernand Léger, dell’ambientatore Pierre Chareau e dei giovani scenografi Autant-Lara e Alberto Cavalcanti. Inutile sottolineare che, con questi presupposti, “L’inhumaine” si avviava a diventare un’opera di riferimento per l’intera avanguardia artistica. In particolare, colpivano le grandi scenografie ultramoderne: quelle del laboratorio furono ideate ed eseguite dallo stesso Léger, trasformatosi per l’occasione anche in operaio pur di dar vita alla sua personale visione. Il film venne iniziato in gran fretta, per poterlo terminare prima di una tournée della Leblanc negli Stati Uniti: L’Herbier in seguito affermerà che la troupe lavorò centoquaranta ore in undici giorni. Duemilacinquecento personaggi dell’élite parigina con i loro abiti da sera si prestarono a fare gratuitamente le comparse, disposti davanti a dieci macchine da presa. La prima proiezione pubblica avvenne nell’ottobre 1924, dopo la realizzazione di alcune scene secondarie ed un minuzioso montaggio: accolto in maniera contrastante a Parigi, ricevette però una buona accoglienza a New York, ed una ancor migliore a Madrid e Barcellona, Londra, Roma, Milano, Tokyo e addirittura Mosca. Particolarmente significativo il commento di Adolf Loos, il più grande architetto mitteleuropeo dell’epoca: “Per Marcel L’Herbier il cubismo non è il sogno di un folle, è il risultato di una concezione molto precisa. Questo regista ha plasmato nell’Inhumaine immagini che mozzano il respiro. È un canto squillante sulla grandezza della tecnica moderna. Quest’opera visiva va in direzione della musica e il grido di Tristano s’avvera: “Comprendo la luce”. L’Inhumaine va al di là dell’immaginazione. Uscendo dalla proiezione si ha l’impressione di aver vissuto il momento della nascita di una nuova arte…”.