Nel 1968 anche Burri, come Fontana, Music, Capogrossi e Deluigi, accettò di vendere al museo un’opera ad un prezzo molto inferiore alla quotazione di mercato, riconoscendo come compenso il prestigio derivante dal figurare nel nuovo spazio espositivo del museo.Dopo le serie intitolate “Catrami” (1949), “Muffe” (1950-51) e “Sacchi” (1951-56), dalla metà degli anni ’50 Burri realizzò le “Combustioni”, forse l’intervento sulla materia più radicale e aggressivo rispetto ai precedenti strappi, buchi e spaccature. Pur avvicinandosi alle esperienze informali di Jean Fautrier e Antoni Tàpies, egli studiò sempre la costruzione formale dell’opera e gli effetti prodotti dalle varianti di colore. Ottenuta dalla combustione di plastica applicata ad un supporto in cellotex (materiale utilizzato per l’isolamento dei tetti), l’opera Bianco B 5 risale al 1965 e appartiene alla serie delle “plastiche”. La razionalità della composizione, cui sembra alludere la formula matematica del titolo, convive con l’azione casuale del fuoco, generando una dialettica tra assoluto e contingente, tra natura e artificio, tra arte e vita.