Nell’ambito della personale di Guttuso alla Biennale di Venezia del 1960, quest’opera compariva accanto ad altri quindici dipinti del biennio 1959-60. Fa parte di una serie di nudi, realizzati nel 1959, che raffigurano la modella Luciana sdraiata nello studio dell’artista, in via Cavour a Roma, ritenuti da E. Crispolti «fra i suoi più felici nell’immediatezza della delineazione, entro il contesto ambientale, sufficientemente enunciato, di una stanza» (E. Crispolti, 1987). Guttuso aveva affrontato il tema del nudo a partire dal ’54, con i dipinti raffiguranti un’altra modella, Mara, e grazie a questo si era liberato delle rigidezze analitiche della precedente produzione, approdando a un fare più sciolto e istintivo. Vi è chi ha visto nei nudi guttusiani una continuità ideologica rispetto alla produzione degli anni quaranta e ne ha dato una lettura in chiave sociologica: Alberto Moravia, considerandoli una forma di denuncia delle condizioni di vita del proletariato agricolo inurbato, ha sostenuto che «le donne di Guttuso sono come i suoi cani famelici (…). L’amore per loro è un breve spasimo tra due stanchezze, una violenza scatenata su una carne indifesa e rassegnata.» (A. Moravia, 1962).L’opera rientra in quella fase della produzione del pittore siciliano che Crispolti ha definito “realismo esistenziale” subentrata, dalla metà degli anni Cinquanta, al ben noto “realismo sociale”. Dall’accezione esistenziale muoverà poi – a partire dal ciclo dell’Autobiografia del 1966 – una nuova ricerca pittorica, che, “attraverso la rottura di ogni limite, narrativo-compositivo, d’unità di tempo e di luogo, e giocando invece sul principio della simultaneità associativa di luoghi distanti della memoria” sfocerà nel cosiddetto “realismo memoriale” (Crispolti, 1985).