La personale di Zorn alla VIII Biennale di Venezia offriva un’ampia scelta di opere, come nelle stanze adiacenti le mostre dedicate a Tito, Stuck, Kroyer, che insieme mostravano un corale linguaggio modernista, volto a fissare con tratto veloce o incisivo l’immediatezza del movimento. Questo palpito trascorreva nei quadri di floride contadine svedesi, ormai familiari ai frequentatori delle Biennali, sebbene si registrasse ancora davanti a “un nudo di Zorn (…), a un’immagine superba di Zuloaga, o un incubo di Franz Stuck” il turbamento “del tranquillo ordine burocratico delle idee” borghesi (Colucci, 1912). Ma quei corpi, che si muovevano liberamente assumendo pose naturali e talvolta affatto armoniche, non hanno tratti fisionomici individuali, rispondono ad un tipo, a una razza. Abbozzati nei chiaroscuri con maestria, non vi si poteva riconoscere nessuno in particolare, e questo attenuava le arditezze sventate di Zorn. Nella personale del 1909 spicca però un’eccezione ove il genere sconfina nel ritratto, La signorina Hilma Eriksson. Completamente svestita siede con naturalezza su un seggiolone all’italiana come una Cleopatra di un moderno Cagnacci, i tratti fisionomici sono precisi, si legano ad un nome e cognome, ad una storia. Era una cameriera del piccolo hotel di fronte alla casa di Zorn a Stoccolma. L’artista nella sua autobiografia ricorda di averla vista per la prima volta dalla finestra e nella sua avvenenza gli era parsa subito una modella perfetta. Quando l’ebbe nello studio, scrive, vide “una meraviglia di carne, sangue e fertilità. Senza problemi si era levata i vestiti” e l’artista sentì che poteva fare qualcosa di insolito e grande.
Dell’artista svedese il Museo Revoltella conserva inoltre due incisioni intitolate, Ida contadina svedese, 1900, acquaforte, 250×200 mm (impronta), inv. 2779 e Ritratto di donna, acquaforte, 200×150 mm (impronta), inv. 3121.