Acquistato alla XVIII Biennale veneziana assieme al quadro di Carlo Carrà, il Pastore di Sironi occupava, con altre sei opere dello stesso autore, una parete della sala XXIX dell’esposizione internazionale del 1932. In quella occasione, accanto a due quadri di soggetto vedutistico (Cupola) e paesaggistico (Eremo), Sironi presentava opere come La famiglia, l’Incontro, Meriggio e La Pesca che, assieme alla possente figura del pastore del Museo Revoltella, costituiscono l’esempio della nuova interpretazione data dall’artista alla figura umana, a partire dagli inizi degli anni Trenta. Infatti, il “gigantismo”, per così dire, di questo pastore, idealmente inscritto in una figura piramidale e posto tra montagne a lui simili per conformazione geometrica e cupa colorazione, preconizza l’inclinazione alla monumentalità delle opere decorative che, proprio a partire dal 1930, Sironi andava progettando. Appare evidente che il pittore ha qui perlomeno accantonato il concetto che sottende la composizione “da cavalletto” e, prescindendo da “considerazioni mercantili”, aspira alla “grandiosità” e ad una “specifica organizzazione delle spazio”. Peraltro, proprio nel 1932, anno dell’acquisto del Pastore, Sironi pubblica su “Il Popolo d’Italia” il famoso articolo “La pittura murale”, in cui veniva esaltata l’armonia delle tre arti a detrimento della pittura da cavalletto, da ripudiare poiché rivolta ad una cerchia ristretta ed elitaria di fruitori.