«Questo dipinto, pregevole per la sua struttura densa, spaziosa e luminosa, è opera autentica di Armando Spadini. La sua esecuzione, da situarsi intorno al 1910, risponde ai caratteri che distinguono la seconda maniera del pittore, elaborata tra la fine del periodo fiorentino e il principio del periodo romano con le sue nuove esperienze pittoriche. Per questo, sotto il rapporto tecnico, esso costituisce un’espressione relativamente inconsueta e singolare nella serie dei paesaggi spadiniani.» Con queste parole Enrico Somarè, nel 1940, descrive il dipinto di Spadini pervenuto al Museo Revoltella l’anno seguente, con permuta mediata dalla Galleria Trieste. La lettera di autentica del Professor Somarè individua negli anni intorno al 1910 (anno di insediamento di Spadini a Roma) il periodo probabile di esecuzione del dipinto Il Pincio, anche se, è abbastanza certo, che il cosiddetto ciclo delle vedute di Villa Borghese e del Pincio fu realizzato, più esattamente, tra il 1913 e il 1915.
Il 1913, momento cruciale per l’evoluzione del linguaggio pittorico di Spadini, è l’anno della sua partecipazione alla prima Secessione romana e dell’impatto diretto con le opere della pittura impressionista, in quella occasione presente con un’ampia scelta di opere accanto ai maggiori esponenti della pittura fauve. Più tardi, in una lettera indirizzata ad Ugo Ojetti (1919), l’artista disconoscerà quel che egli definiva “mezzo periodo di impressionismo” e che, tuttavia, caratterizzò con evidenza tutta la sua produzione tra il 1913 e il 1917.
Scriveva ancora Corrado Pavolini nel 1930: «Se si riflette che, per motivi di tempi, l’«avventura» tecnica di Spadini è l’impressionismo, l’accento di queste tele non può mancar di profondamente stupire: tanto vi traspare, al di là dell’attenzione cromatica data alle apparenze dell’ora, la ben più profonda preoccupazione di mantenere alla veduta l’augusto disteso respiro delle sue masse grandiose […]».
Analogamente, nella veduta del Museo Revoltella, le “masse grandiose” degli alberi mantengono la loro fiera solidità grazie ad una stesura pittorica “densa e rilevata”, che sovrasta le figure sottostanti appena sbozzate, colte ciascuna nelle diverse gradazioni di una discreta luminosità.