Realizzato nel 1930, dopo quasi un anno d’inattività dovuta ad una grave malattia, il dipinto La finestra figura tra quelli esposti alla Quadriennale di Roma del 1931, dove Carena tiene una mostra personale. Nel presentare le trentatré opere, il pittore scrive: «Questi lavori (…) spero daranno all’osservatore il senso di come io disperatamente lotti per liberarmi da schemi usati e cercare la più diretta ispirazione del vivo» (F. Carena, Prima Quadriennale d’Arte Nazionale, catalogo della mostra, Roma 1931). Le tematiche religiose e le scene d’ispirazione classica, come le numerose bagnanti, lasciano quindi posto a soggetti molto più vicini al pittore, interpretati con un rinnovato fare pittorico: «La lunga malattia innesca in lui una sommarietà compendiaria che non è percepibile solo nella tecnica grumosa e brillante, ma anche nei formati piccoli e medi delle opere, che confrontati al ‘fare grande’ della fine degli anni Venti mette in evidenza una sofferenza interiore, una frammentarietà e un’irrequietudine che più che certezze, pone domande allo spettatore […]» (F. Benzi, 1996). Nell’opera in esame la luce naturale, che entra dalla finestra e colpisce il volto dell’artista e il corpo della modella, fa risaltare la solida plasticità delle figure, ulteriormente evidenziata dalla corposità dell’impasto cromatico. Classificabile come autoritratto professionale, il dipinto rappresenta l’artista dietro ad una modella nuda, molto simile, nella posa del corpo e della testa, alla protagonista del dipinto Il vezzo di coralli, presentato da Carena alla Biennale di Venezia del 1928. Dai primi anni del ’900 fino all’anno della morte Carena si rappresenta numerose volte, sia individualmente (come negli autoritratti del 1902, 1908, 1912, 1915, 1950-52, 1964 e quello del 1966, realizzato in gesso), sia assieme a familiari e amici (come in La famiglia, 1927 e 1929; La scuola, 1927-28; La solitudine, 1931, Giocatori di scacchi, 1937-38); in queste opere «i miti bucolici lasciano spazio a temi di vita vissuta, ambientati in una quiete agreste più reale che ideale» (E. Pontiggia, 1995).