Meriggio fu acquistato dal Museo Revoltella alla Biennale di Venezia del 1924, dove l’artista aveva una mostra personale. L’effetto che produsse in città fu notevole: «Casorati è una realtà palpitante anche per noi triestini che or ora, miracolosamente siamo riusciti ad assicurarci il suo famoso “Meriggio”, strappandolo in una competizione storica e disperata, ove si pensi che nemmeno la Galleria d’arte moderna di Venezia riuscì ad accaparrarsi una sola delle disputatissime tele di Felice Casorati all’ultima Biennale» (Viezzoli, 1925) L’artista era tornato alla Biennale di Venezia dopo dieci anni e l’accoglienza era stata adeguata alla cura con cui si era preparato all’evento. Come sottolinea Lionello Venturi nella presentazione in catalogo, egli aveva trovato un equilibrio nuovo, uscendo, con l’esperienza della guerra, “dagli oziosi vagabondaggi in cerca di un estetismo senza consistenza” e assumendo come soggetto principale l’immagine umana e la sua posizione nello spazio. «Guardate il Meriggio – continua – e vedrete nella figura di schiena, nelle pantofole e nel cappello una consistenza di volume che si identifica con la profondità della tinta. D’altronde tutte le forme sono perfettamente solide e bene immerse nell’atmosfera. Ecco un equilibrio prezioso tra forma e colore, ch’è sentimento di riposante bellezza.»Con quattordici opere, tra cui alcune già presentate alla Quadriennale di Torino del 1923 (Ritratti Gualino, Lo studio, Ritratto della sorella, Mariuccia) e alcuni pezzi più recenti (Meriggio, Madre, Concerto, Ritratto di Hena Rigotti, Duplice ritratto, La zucca) Casorati suscitò una forte impressione nella critica e fece dire a qualcuno che solo lui e Oppi “erano degni di sintetizzare l’attuale momento della pittura italiana” (Nebbia, 1924).La prima scheda dell’opera si deve a Luigi Carluccio, che la pubblica nel catalogo della mostra allestita nel 1958 al Centro culturale Olivetti di Ivrea. Egli osserva che «nessun elemento di questa famosa composizione risulta isolato, nonostante che ciascuno sia nitidamente individuato e definito. L’occhio si muove senza intoppi da un nudo all’altro, dal cappello alle pantofole, dal drappo steso a terra alla tenda, come sui raggi di una ruota che ha il suo perno nel parallelepipedo scuro alla cui base tutte le linee convergono diagonalmente. (…) Qui anche l’assenza di azione è vera quiete più che rigidità e il silenzio è come il profumo dell’ora. Del resto ogni cosa esprime con molta delicatezza la vita: l’occhio aperto della fanciulla di scorcio, il nudo nell’ombra del fondo curvo su un libro. Persino la tenda bianca ha un movimento sinuoso che dal disegno si trasmette nell’aria provocando una leggera agitazione.»La ricerca più completa sull’opera si trova, però, nel catalogo generale curato da Giorgina Bertolino e Francesco Poli, uscito a Torino nel 1995, dove viene passata in rassegna tutta la bibliografia relativa al dipinto, al quale viene attribuito il ruolo “di opera cardine” entro lo svolgimento complessivo di questo decennio.Del celebre pittore novarese il Museo Revoltella possiede anche una Natura morta (olio su tela, 60×41 cm, inv. 3082), probabilmente realizzata verso la fine degli anni Quaranta e acquistata dal Museo nel 1952.