Complessa è la vicenda critica di questo dipinto che presenta un ampio ed articolato paesaggio roccioso percorso da un fiume e animato, nei primi piani, da lavandaie e mendicanti mirabilmente definiti nei loro diversi atteggiamenti e, via via nei diversi piani retrostanti, vivacizzato da altre figure, tra cui quattro monaci in transito verso un castello.
Inizialmente attribuito al Magnasco, venne presentato nel 1922 come opera di Marco Ricci; nel 1929 fu ricondotto da Giuseppe Fiocco, e dalla maggior parte della critica fino ai giorni nostri, alla collaborazione tra Marco e Sebastiano, sulla base del confronto con un Paesaggio con monaci del Museo di Edimburgo assegnando, in particolare, la realizzazione del paesaggio a Marco e le figure allo zio Sebastiano. In seguito altri studiosi ipotizzarono anche l’inverso, attribuendo il paesaggio a Sebastiano e le figure al nipote Marco, non escludendo peraltro la collaborazione del pittore genovese Alessandro Magnasco che, nel dipinto in esame, avrebbe ispirato la fisionomia di tutte le figure presenti. Secondo Conticelli (2009), infatti, che rammenta la similarità del dipinto triestino con altri illustri ‘paesaggi con frati’ conservati a Firenze (Uffizi) e alla suddetta National Gallery of Scotland (Edimburgo), «la suggestione esercitata dalla pittura del genovese emerge con prepotenza anche nella tela triestina, dove tutte le figure che popolano il dipinto fanno riferimento al repertorio di personaggi tipici di Magnasco, ma presentano forme più morbide e tornite e sono immersi in un paesaggio pieno di luce.»