Una profonda amicizia legò Isidoro Grünhut a Umberto Veruda, due protagonisti della pittura triestina della fine dell’Ottocento. Umberto Veruda, l’artista errabondo ed inquieto che, nella sua pur breve vita, contribuì notevolmente allo svecchiamento della tradizione accademica locale, fu tra i primi a scegliere Monaco quale punto di riferimento principale per la propria formazione artistica.
All’inizio degli anni ottanta, infatti, la scelta dei giovani artisti triestini ricadeva ormai sempre più spesso sulla capitale bavarese, piuttosto che sulla più vicina Venezia, mèta abituale dei pittori della generazione precedente. L’ambiente artistico monacense rappresentava la modernità, a scapito del ristagnante conservatorismo dell’Accademia viennese e dello scadimento qualitativo dell’Accademia veneziana. Su questi artisti influì con una certa forza la ritrattistica dei pittori tedeschi (Franz von Lenbach e Franz Leibl), fondata sull’attenta resa dell’indagine psicologica del soggetto, mediante un impiego sapiente della dinamica chiaroscurale.
Non diversamente da quanto accade in questo ritratto, denso di richiami alla pittura d’Oltralpe. Con l’abito tipico dei soggetti seicenteschi di Rubens e Velázquez, che Veruda ammirava alla Alte Pinakothek, l’amico è ritratto con un’espressione assorta e concentrata sul giovane volto pallido, in marcato contrasto cromatico con i toni bituminosi della veste e dello sfondo.