Ricordiamo Ippolito Caffi a 150 anni dalla morte

Nella collezione del Museo Revoltella sono presenti cinque opere di Ippolito Caffi, tutte molto rappresentative della sua singolare personalità e della sua articolata produzione pittorica. Nel 2106 l’artista è stato ricordato anche perché cadeva il 150° anniversario della sua morte, avvenuta durante la battaglia di Lissa. Cogliamo quest’occasione per approfondire le particolarità di una delle tele possedute dal Revoltella ed esposte assieme ad altre vedute del primo Ottocento nel palazzo baronale.

Ippolito Caffi nasce a Belluno il 26 ottobre 1809. Inizia a dipingere sotto la guida di un modesto pittore bellunese, Antonio Federici, per poi trasferirsi ancora adolescente a Padova e compiere un breve apprendistato nella bottega di Giovanni Demin. Nel 1829 frequenta le classi di Prospettiva, Nudo e Figura all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ricevendo, l’anno dopo, un premio. Dal 1832 soggiorna a Roma presso il cugino pittore Pietro Paoletti. Ne ricava una serie di vedute molto originali come la Trinità dei Monti di Ca’ Pesaro o l’Arancera di Villa Borghese, entrambe del 1834, che dimostrano la sua scelta definitiva di dedicarsi al paesaggio. Nel 1835 pubblica le Lezioni di prospettiva pratica destinate ai sempre più numerosi artisti che si dedicavano senza un’adeguata preparazione alla veduta.

I suoi soggetti preferiti sono le riprese di particolari eventi atmosferici, la nebbia, ad esempio, o le vedute notturne rischiarate dalla luna o dai fuochi artificiali. E’del 1837 una delle sue opere più note, la Festa dei moccoletti – L’ultima ora del Carnevale a Roma che ottiene un grande successo alla mostra annuale dell’Accademia di Venezia e verrà replicata una quarantina di volte. Ma altrettanto richieste sono le sue vedute del Canal Grande o della Piazza San Marco. A Roma frequenta abitualmente il Caffè Greco, per il quale esegue quattro dipinti, di cui resta solo il Ponte di Rialto. Viaggia moltissimo e si muove continuamente tra Venezia e Roma, ma non manca di inviare opere anche alle mostre annuali dell’Accademia di Brera, che attorno al 1840 è il centro più importante, e all’”Esposizione artistica triestina”, che, proprio nel 1840, inaugura la prima edizione. Nel 1841 realizza con Demin e Paoletti la decorazione del Caffè Pedrocchi di Padova: quattro vedute romane nella saletta rotonda. Da questo momento si impegna particolarmente nei lavori di decorazione sia nei palazzi di città che nelle residenze di campagna, prevalentemente in area veneta. Nel 1843 parte per un lungo viaggio in Oriente che tocca Smirne, Costantinopoli, Damasco, Tebe, Gerusalemme. Esposte a Roma, le opere ispirate al viaggio, hanno un grande successo.
Nel 1844, alla morte di Tranquillo Orsi, gli viene offerta la cattedra di prospettiva a Venezia, ma egli rifiuta. Sono anni molto fecondi che segnano il momento forse più alto della sua produzione. Dal 1848 viene coinvolto nelle vicende risorgimentali. Combatte contro gli austriaci a fianco di volontari bellunesi, ma viene fatto prigioniero nella campagna friulana. Milita nella Guardia civica veneziana e, alla caduta della Repubblica, va in esilio. Ormai è un artista-soldato impegnato a documentare le vicende di cui è testimone. Nel 1849 è a Genova ma già l’anno dopo si trasferisce a Torino e nel 1851 va a Londra, dove espone delle opere all’Esposizione Universale. Il suo peregrinare per l’Europa, nel 1854 tocca la Spagna e Parigi, dove si ferma per un periodo e partecipa all’Esposizione del 1855.
Torna stabilmente a Venezia nel 1857 e viene processato per i fatti del 1849. Subirà anche il carcere per alcuni mesi, ma già nello stesso 1860 si precipita al sud per assistere all’ingresso del re a Napoli, che riprende in un quadro e l’avanzata delle truppe garibaldine.
Nel 1866, quando scoppia la terza guerra d’indipendenza, si arruola e si imbarca a Taranto con la flotta italiana. Chiede di imbarcarsi sulla “Re d’Italia” per vedere meglio i combattimenti, ma muore il 20 luglio nell’affondamento della nave a Lissa. Restano molti disegni della flotta italiana.

L’OPERA

Venezia sotto la neve
Olio su tela, cm 44×63
Inventario: n. 2585
Firmato in basso a destra: Caffi
Civico Museo Revoltella, Trieste

Venezia imbiancata dalla neve è uno dei soggetti che procurarono a Caffi i maggiori elogi, fin da quando Pietro Selvatico, nel 1842, aveva definito la versione presentata l’anno prima all’Esposizione di Belle Arti dell’Accademia, “bella opera propriamente, dove ogni pennellata era verità, e dove, più ancora che vedersi, sentivasi il freddo dell’incomoda meteora”, sottolineandone i pregi anche a confronto con analoghe interpretazioni della neve a Venezia che in quel momento andava proponendo il maestro e rivale Giuseppe Borsato.
Non è facile identificare l’opera esposta all’Accademia di Belle Arti nel 1841 e ammirata dal marchese Selvatico, poiché l’artista ne eseguirà diverse repliche in un lungo arco di tempo, come si deduce dai titoli delle opere che compaiono a diverse mostre degli anni cinquanta. Ancora quattordici anni dopo, all’Esposizione Universale di Parigi del 1855 è presente, infatti, una Vue de Venise con le stesse caratteristiche, come si deduce dal commento di Théofile Gautier, che, peraltro riconosce a Caffi il grande merito di avere saputo rinnovare il vedutismo settecentesco da cui aveva preso le mosse: “Un Vénitien, M. Caffi, a trouvé le moyen, après Canaletto, après Bonnington, après Joyant, après Wyld, après Ziem, de peindre Venise sous un aspect nouveau. Sa vue du Grand Canal et de Santa Maria della Salute en hiver, avec un ciel gris, une eau blafarde et un œil de neige sur les coupoles et sur les palais, est une véritable innovation. (Le Beaux-Arts en Europe 1855, Paris, 1856, p. 227). Nel 1856 alla mostra della Società Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma espone “una veduta della città dei dogi nel suo mantello invernale sotto una di quelle nevicate di cui – secondo il recensore della rivista “Letture di famiglia” – abbiam veduto tanti esempi in questi ultimi tempi”. Nel 1858, all’Esposizione dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, c’è ancora una Nevicata sul canal grande citata a sua volta in “Letture di famiglia” (1858). Quanto alle commissioni di privati, sappiamo dal suo biografo Avon Caffi che nel 1851 aveva eseguito tre quadri “per il signor Russo di S. Elena di Nizza,” tra cui una Veduta del Canal Grande di Venezia con neve e nebbia che potrebbe derivare dal bozzetto, con lo stesso titolo, della Galleria d’arte moderna di Ca’Pesaro in cui il canale è ripreso da Rialto.
L’inquadratura del dipinto del Museo Revoltella trova precise corrispondenze in altri due dipinti di dimensioni maggiori: Neve a Venezia: la Salute e il Canal Grande, datata 1841, del Museo Civico di Belluno, e Neve a Venezia. La Salute e il Canal Grande di collezione privata romana, verosimilmente dello stesso periodo. Le differenze tra i tre dipinti, malgrado l’inquadratura sia la stessa (nel dipinto triestino, però, il punto di vista è ribassato) sono in realtà notevoli, ciò che avvalora l’opinione secondo la quale Caffi non faceva mai vere e proprie repliche, ma amava reinterpretare i soggetti, come sottolinea un critico contemporaneo: “Poeta nell’inventare, è impossibile che riesca monotono, è impossibile che ti dipinga una copia esatta d’un quadro” (F. De’Boni, Dell’arte e degli artisti contemporanei in Italia, “Il mondo contemporaneo”, 1842)
Ciò che distingue le tre versioni è soprattutto l’illuminazione della scena, che nel dipinto bellunese (ritenuto il primo della serie, vista la data apposta sul verso) si caratterizza per un’atmosfera cupa, con un cielo che sta cambiando, forse un attimo prima del temporale, mentre nell’opera di collezione privata si riscalda, assumendo un’intonazione rosata, e, nella replica del Revoltella si raffina ulteriormente con la fusione di nuvole, nebbia e fumo che riempie lo sfondo. Cambia anche il ‘traffico’ di imbarcazioni su quel tratto di canale: se nell’opera di Belluno il primo piano è dominato da due grosse barche da carico apparentemente immobili, nel secondo dipinto i barconi arretrano e lasciano spazio a una gondola col “felze” (la copertura in legno che proteggeva dal freddo e dagli sguardi), mentre il piroscafo che naviga al centro della tela triestina è una vera novità nel repertorio caffiano, in cui i moderni battelli a vapore compaiono solo nei disegni degli ultimi anni dedicati alla flotta militare. Un piroscafo che percorre il Canal Grande, a dire il vero, appare piuttosto sorprendente intorno alla metà dell’Ottocento quando le merci si trasportavano ancora con le “peate”, grosse barche condotte da due vogatori. Si potrebbe riprendere ancora l’opinione del De’Boni, secondo il quale Caffi “non abbraccia le reliquie antiche, senza volgere sempre ridendo almeno uno sguardo alle bizzarre cose moderne; egli dice benvenuto al presente…”. Del resto, il 20 novembre 1842 aveva partecipato con grande entusiasmo al viaggio inaugurale della carrozza a vapore che collegava la sponda della laguna con Padova e aveva scritto “Insomma in 34 minuti abbiamo percorso sedici miglia di linea (…).La corsa era così veloce che gli alberi, case, campi e uomini erano tutto un colore… (Avon Caffi, p. 50) E tante altre volte aveva viaggiato in piroscafo, quando era andato in Oriente, ma anche per raggiungere Londra o, semplicemente, per andare da Venezia a Trieste.
L’opera è giunta al museo nel 1940 attraverso il lascito di Carlo e Maria Piacere, di cui fa parte anche la Venezia con neve e maschere di Giuseppe Bernardino Bison (v. scheda)

Bibliografia: V. Mikelli, Ippolito Caffi, Venezia degli italiani. Strenna del 1867, Venezia 1866, p. 25; M. Pittaluga, Il Pittore Ippolito Caffi, Vicenza 1971, pp. 46-47, 91, n. 76;G. Avon Caffi, Ippolito Caffi, Padova, 1967, p. 164; G. Pavanello, in Venezia nell’800. Imagine e mito, cat. della Mostra, a cura di G. Pavanello e G. D. Romanelli, Milano 1983, pp. 66-67, cat. n. 62; M. De Grassi, Scheda in Ottocento veneto, catalogo della mostra a cura di N. Stringa, Canova, Treviso, 2004, p. 194-196; A. Scarpa, Schede, Caffi. Luci del Mediterraneo, catalogo della mostra a cura di A. Scarpa, Skira, Milano, 2006, p. 261-262.

Tratto da: Luci dell’Adriatico, catalogo della mostra, San Donà di Piave – Trieste, Museo Revoltella, Mazzotta, Milano, 2008

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