Scoperto il volto di Leonor Fini nel “Ritratto femminile” di Achille Funi

Nicoletta Colombo, studiosa milanese che da anni cura l’archivio di Achille Funi e sta preparando una grande mostra sull’artista che si aprirà alla Permanente di Milano il 27 gennaio, ha scoperto che il "Ritratto femminile" posseduto dal Museo Revoltella dal 1954 e finora rimasto anonimo, è in realtà un ritratto giovanile di Leonor Fini, su cui il Museo Revoltella sta preparando per il 2009 una grande mostra. Ecco l’articolo pubblicato sul giornale "Il Piccolo" di oggi, 24 dicembre 2008, in cui l’autrice della scoperta spiega la storia del dipinto.

 

 

FINI-FUNI. UNA SCOPERTA DAL MUSEO REVOLTELLA

Nicoletta Colombo

 

Un museo non è un reality, ma non dobbiamo dare nulla per scontato: anche nella cultura artistica, quella di spessore, le emozioni non mancano.

Al contrario di ciò che si può pensare, nelle raccolte museali nulla va dato per scontato. Può capitare, come è successo al Museo Revoltella, di conservare un dipinto per molti anni e di scoprire occasionalmente, attraverso un percorso marginale ed esterno alle sorti della raccolta stessa, che l’opera in questione riservi una storia inedita che ne arricchisce l’individuazione e permette così di indagare vicende rimaste poco o nulla esplorate.

E’ quanto accaduto per un dipinto di un maestro, Achille Funi (1890-1972), fondatore, con un drappello di compagni, del Novecento Italiano; il movimento, di nascita milanese e di diffusione nazionale, è ormai noto a tutti gli appassionati d’arte per avere rappresentato in ambito italiano l’esito del clima intellettuale del “ritorno all’ordine”, iniziato durante il primo conflitto mondiale e culminato nei primissimi anni Venti.   Il dipinto di cui si vuole raccontare brevemente la storia e anche qualche indiscrezione che circonda la sua genesi, raffigura un busto di ragazza poco più che ventenne, dal viso fresco e sbarazzino, capigliatura moderna e scomposta, abito azzurro cielo, reso diafano da un jabot bianco, morbido come velo, particolare che la dice lunga sul fatto che attorno al 1930, anno della sua esecuzione, anche un novecentista tra i più neoclassici come era il Funi, invertiva la rotta dalla austerità priva di sussulti della pittura degli anni Venti verso la libertà emozionale che avrebbe caratterizzato l’arte figurativa del decennio seguente.

Chi rappresenta la fresca figura di ragazza che dal 1954, data della sua acquisizione da parte del Museo Revoltella, è stata finora genericamente definita come Ritratto femminile? Qui sta la novità, quella che ha dato a noi, che ne abbiamo individuato il filo sottile che guida gli studiosi verso le chiarezze, una emozione che è meglio della curiosità sollevata da un reality, perché non muore nell’arco di un giorno ma rimane e si racconta. E’ Leonor Fini la giovane ritratta dal Funi, l’artista divenuta poi celebre e nota anche per la vita avventurosa, personalità raffinata, eccentrica e cosmopolita, riconosciuta nella maturità come esponente della cultura francese, ma con un trascorso rilevante di vita giovanile e di formazione culturale triestina.

La Fini, che dalla originaria Buenos Aires (vi era nata nel 1908), si era da piccola trasferita a Trieste con la madre, triestina di origine; qui aveva trascorso l’infanzia entro un clima storicamente complesso, risultato della la crisi culturale e politica europea degli anni della Grande Guerra. In città la fine del conflitto aveva alimentato tensioni intellettuali nuove, soprattutto in letteratura, che vantava  i nomi consistenti di Svevo e Saba, a fronte dei quali la pittura non pareva produrre altrettante personalità incisive. Per contro era Milano che veniva sempre più assumendo, in ambito nazionale, il ruolo di guida artistica e di crogiuolo di novità.

Tornando al Funi, la sua figura era già alla fine della guerra un riferimento per la nuova arte italiana, così come lo erano De Chirico e Sironi. Originario di Ferrara, si era presto naturalizzato milanese, aveva frequentato Brera, era stato con i futuristi; con Boccioni, Marinetti e Sironi partiva volontario da Milano nel 1915 per il fronte. Proprio con Sironi e altri cinque artisti aveva fondato alla fine del ’22 il “Novecento”, più o meno corrispondendo alle linee teoriche dettate da Margherita Sarfatti.

Ma veniamo alla giovane Leonor: la sua partecipazione alla vita artistica triestina e l’abilità dimostrata nell’affrontare il linguaggio pittorico le avevano procurato una commessa da parte di un ministro che risiedeva a Milano e, tra il 1927 ed il ’28, proprio per avere accettato di eseguire i ritratti per la famiglia del committente, intraprendeva con innato spirito di avventura il trasferimento a Milano, in un felice momento in cui il capoluogo lombardo era teatro della fervente attività teorica ed espositiva del gruppo dei novecentisti.

Da qui la frequentazione dell’intellighentia ambrosiana, che comunque non la entusiasmava, soprattutto perché i giovani pittori snobbavano le donne artiste, come lei stessa avrebbe rivelato in una intervista rilasciata nella maturità; le uniche eccezioni erano Funi e Sironi, che invece, forse per l’essenzialità del loro carattere e la parsimonia di parole, non l’avevano mai discriminata.

Fatto sta che la Fini, già nel ’29 esponeva in una ricca personale con altri due triestini, Carlo Sbisà e Ernesto Nathan, nella famosa Galleria Milano, diretta da Vittorio Barbaroux, personaggio chiave delle vicende espositive e di mercato nazionali ed europee del Novecento Italiano. Parte proprio dal ’29 il vincolo professionale, oltre che affettivo, tra lei ed il più maturo Funi, il quale nel ’30 fondava con lo scultore Timo Bortolotti e con il compagno Piero Marussig (triestino pure lui) una Scuola d’Arte privata nel cuore di Milano e vi ammetteva, tra le allieve numerose, anche Leonor. Il sodalizio tra i due si confermava nello stesso anno, quando il ferrarese eseguiva un importante affresco alla Villa Reale di Monza in occasione della IV Triennale; con lui c’era la Fini, che realizzava altre pitture murali e una vetrata esposta a fianco di quella progettata dal Funi.

Vicende private intrecciate con quelle professionali: sempre nel ’30 soggiornavano insieme a Roma, nel ’31 era invece Funi che affrontava l’esperienza di una mostra d’avanguardia a Trieste, per poi partecipare alla I Quadriennale di Roma presentando l’opera Alla finestra, in cui ancora ritraeva le fattezze della giovane Leonor accanto a quelle di una anonima modella.

Tra il 1931 e il ’32 la Fini si trasferiva a Parigi, dove era animatissima la colonia di artisti italiani, denominati “Italiens de Paris”. Anche Funi soggiornava a Parigi, ospite del Barbaroux; spesso con la Fini organizzava incontri e cene nella casa del mercante milanese di rue Froidveaux, dove si riunivano anche De Chirico, Tozzi, Eugenio D’Ors e altri esponenti della cultura. La vita parigina non si confaceva al  Funi, che optava quindi per il ritorno a Milano; ciononostante con la Fini lavorava ancora, come era successo nel ’33 alla V Triennale milanese, dove disegnava per lei una Cavalcata delle amazzoni che Leonor avrebbe interpretato e tradotto in un mosaico, tuttora esistente, per il pavimento dell’atrio del Palazzo dell’Arte.

Più tardi, in un lungo articolo scritto dal Funi per il ferrarese “Corriere Padano”, uscito il 30 gennaio 1938 con il titolo Leonor Fini, pittrice ferrarese, l’autore sottolineava le doti artistiche della più giovane collega, rivelando di averla condotta in passato con lui nella sua Ferrara, dove aveva assimilato i valori spirituali dei grandi ferraresi del Quattro e Cinquecento.

Un lungo rapporto quindi, generoso e disinteressato, destinato a durare anche in tempi in cui ognuno avrebbe seguito il proprio destino. Funi in fondo non era solo un uomo di forte tempra, era per tutti un maestro nel senso rinascimentale. Lo si capirà meglio visitando la retrospettiva a lui dedicata, curata dalla scrivente, aperta alla Permanente di Milano dal 27 gennaio prossimo al 22 febbraio. Il dipinto Ritratto femminile, Leonor Fini, vi apparirà, concesso dal Museo Revoltella. Saranno esposti inoltre inediti sorprendenti; insomma, come già in passato scrisse qualcuno, un bel “tiro alla funi”.

 

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