Spettacolo \”Il nero chiama di nero\”

Domenica 5 e lunedì 6 settembre 2004 alle ore 21.00, presso l’Auditorium del Museo Revoltella
andrà in scena lo spettacolo:

IL NERO CHIAMA DI NERO
di Anna N. Mariani
regia di Marco Casazza

Personaggi e interpreti:
La Cantante Ornella Serafini
Lo Scrittore Marco Casazza
La Pittrice Paola Bonesi
Kunti Tania Furlani

Assistente alla regia
Adriano Giraldi

Opere Pittoriche
Anna N. Mariani

Musiche
P. Girol e O. Serafini

Realizzazione Video e Fonica
Paolo Girol

Luci
Alexandro Majcan

Lo spettacolo è a INGRESSO LIBERO

Gli artisti, manovali dell’anima

L’arte è un’amante esigente, e servirla comporta notti insonni, dubbi e domande, tormenti ed estasi.
Specialmente in certe notti. Ed è in una di queste notti che lo spettacolo ci vuole trasportare. Nel tempo amniotico dell’attesa, quando qualcosa di ancora indefinito si agita dentro e chiede prepotentemente di venire alla luce, di essere messo al mondo.
Esistono tanti modi per attraversare questa gravidanza dell’anima: tanti quanti sono gli artisti. Ne abbiamo scelti due, in due punti qualsiasi del mondo: lei cantante, lui scrittore. Hanno vite diverse e temperamenti opposti, ma qualcosa li accomuna: una relazione appassionata con le forze che generano la creazione artistica.
Le parole sono quelle della pittura, (ed è pittrice l’autrice del testo poetico da cui nasce lo spettacolo) ma la tela bianca è parente stretta della pagina vuota o del pentagramma muto. Nevrotico e metropolitano lui, meditativa e “olistica” lei, diversamente attraversano le identiche fasi della creazione: l’inquietudine spasmodica che precede l’idea; la preparazione del corpo e degli strumenti del mestiere – quasi un rituale alchemico ñ per accogliere e dare forma all’intuizione di un attimo; l’atto decisivo della prima parola scritta, della prima nota cantata, del primo segno che viola la tela bianca. Lo stupore per la cosa che sta nascendo davanti ai loro occhi, una creatura appena nata eppure già autonoma, quasi estranea; e infine lo sfinimento “post-parto”, un misto di gioia e svuotamento cui si accompagna la consapevolezza di avere una volta ancora dato forma a qualcosa che non c’era.
Per i nostri due personaggi essere artisti non significa essere degli eletti. Umani, (quasi troppoÖ), semplicemente si sono arresi alla necessità di farsi attraversare da un’ispirazione che proviene da altrove. Come Kunti, di cui si narra nel Mahabarata che per la sua dedizione ad un anziano santone avesse ricevuto il dono, pur essendo umana, di concepire figli con gli dei senza venire distrutta dalla loro potenza. A lei si rivolgono nel momento più buio, come ad una grande Madre protettrice di tutti gli artisti che affrontano lo stupore, le doglie e le gioie del generare una creatura non del tutto propria.
Due sono gli artisti in scena, ma si percepiscono, tutto intorno, le presenze di altri. Un vicino compositore che cerca un tema con la sua chitarra, una pittrice che sa fondere il sublime con il quotidiano, e gli altri innumerevoli artisti che dovunque, diversamente vengono visitati da Zeus – “saetta che feconda” – e cercano, ciascuno a suo modo, di partorire un figlio degli dei.

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