Un caso interessante: la collezione delle opere donate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ufficio Zone di Confine

Verso la fine del 1948, uno degli anni più importanti e cruciali della storia del nostro Paese, che in primavera aveva visto l’elezione del primo Parlamento dell’era repubblicana, con una lettera del 17 settembre proveniente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Terra di Confine, viene stanziata la somma di un milione di lire per l’acquisto di opere d’arte contemporanea destinate al Museo Revoltella.
Incaricato dell’acquisizione e della scelta dei dipinti è il conte Fausto Franco, archeologo e Soprintendente ai Monumenti Gallerie e Antichità di Trieste, che sembrava avere “buone possibilità di acquisto alla Biennale veneziana”, come specifica Silvio Rutteri, l’allora Direttore dei Musei Civici di Trieste, in una lettera dei primi anni Cinquanta indirizzata al Soprintendente Benedetto Civiletti, successore del conte Franco.
Ma come talvolta accade nelle vicende italiane i ventitré dipinti acquisiti tra il 1949 e il 1950 entreranno a fare parte delle collezioni del Museo Revoltella soltanto nel novembre del 1955, dopo anni di tentennamenti e ripetuti solleciti, che si possono seguire ancora oggi nel cospicuo carteggio che documenta l’“incresciosa vertenza”, come viene definita dall’illustre professore Luigi Coletti, preside della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Trieste e Presidente del Curatorio del Museo.
Per sbloccare la situazione, arrestatasi per motivi burocratici che portano, erroneamente, a prendere in carico la collezione da parte della Soprintendenza di Udine, che inventaria i beni in prima battuta, Coletti si rivolge direttamente al Direttore Generale della Antichità e Belle Arti di Roma, nel novembre 1954 e ancora nel maggio successivo, ottenendo infine la risoluzione della vicenda nel luglio dello stesso 1955.
Nel tardo autunno del 1955 viene infine organizzata un’esposizione presso la Sala Comunale d’Arte del Municipio di Trieste per la presentazione pubblica di questa collezione, simbolicamente pervenuta nella città di iniziale destinazione a un anno dalla firma del noto Memorandum con cui Trieste torna all’Italia, dopo nove anni di occupazione del Governo Militare Alleato.
I dipinti vengono accolti dal direttore del Museo Civico Pasquale Revoltella, Edgardo Sambo, e finalmente ‘caricati nell’inventario del predetto Museo’.

Cogliendo l’opportunità offerta dal nuovo allestimento della Sala Carlo Scarpa, che accoglie le opere degli artisti del Secondo Novecento conservate nelle raccolte del Museo Revoltella, viene presentata al pubblico, oggi, per la prima volta una selezione di questo nucleo importante del patrimonio del Museo.
Le opere, per la maggior parte realizzate da artisti triestini ma anche, se pur in minor numero, da prestigiosi artisti di consolidata fama sovranazionale quali, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Arturo Tosi e Pio Semeghini, riportano ancora oggi sul loro verso la doppia numerazione, quella della Soprintendenza ai Monumenti di Udine e il numero d’inventario definitivo del Museo Revoltella.

GIORGIO MORANDI - Paesaggio (1944)

Tra tutte, spicca per valore storico-artistico e significato intrinseco il Paesaggio (1944) di Giorgio Morandi, tra i rari esempi di questo genere pittorico realizzati dall’artista bolognese, per lo più noto per le sue nature morte, innumerevoli e sempre diverse se pure uniche per impostazione compositiva e lirismo cromatico.

L’Interno con Cocò (1944) di Filippo De Pisis, già di proprietà della Galleria del Cavallino di Venezia, è curiosamente contrassegnato dalle lettere SB, probabilmente allusive a San Barnaba o a San Bastian (San Sebastian) luoghi di residenza a Venezia del pittore ferrarese, che nella città lagunare si trasferisce dal 1943. I due paesaggi intitolati Garzana (metà anni Trenta) e Burano (1942), ascrivibili rispettivamente ai lombardi Arturo Tosi e Pio Semeghini, esauriscono il nucleo di opere di artisti non triestini di questa collezione confermando, con i loro colori pastello e la dissolvenza delle forme nel delicato gioco luministico, la persistenza della lezione impressionista a cui i due artisti non sembrano rinunciare.

FILIPPO DE PISIS - Interno con Cocò (1944)
EDOARDO DEVETTA - Fiori (1949)

Attorno ai quattro artisti ora menzionati si raccolgono poi le opere degli autori triestini, di cui si è già inizialmente parlato: una ricca documentazione di Nature morte, realizzate tutte negli anni Quaranta e rappresentative dei diversi linguaggi artistici allora coesistenti nella nostra città. Dalla Natura morta (1949) di Vittorio Bergagna di gusto più tradizionale e vagamente neoimpressionista, ai Fiori (1949) di Edoardo Devetta tal taglio compositivo più audace e tendenzialmente astratto, per arrivare alle versioni neocubiste delle Nature morte di Alice Psacaropulo e di Rinaldo Lotta. Una menzione a parte meritano, a nostro avviso, la Natura morta (1948) di Dino Predonzani, incisiva e iconica nel suo marcato espressionismo cromatico e la Natura morta (1948) di Nino Perizi, essenziale e stringata ma vivificata da pochi e decisi tocchi di colore. Analogo spirito di semplificazione, non disgiunto da un evidente richiamo alla realtà, caratterizza anche l’Interno con stufa (1948-50) dello stesso autore, mentre è un linguaggio disarticolato e fiabesco quello che determina il dipinto intitolato Cortile (1955) di Federico Righi.

DINO PREDONZAN - Natura morta (1948)
NINO PERIZI - Natura morta (1948)

E se vi è una volontà di documentazione storica alla base del dipinto Tempio demolito in Cittavecchia (metà anni Trenta) di Maria Lupieri, raffigurante il Tempio Maggiore nella Piazzetta delle Scuole Israelitiche (oggi zona Questura), abbattuto assieme ad altri edifici negli anni Trenta, per l’ammodernamento di alcune zone cruciali della nostra città, un intento straniante e giocoso sembra caratterizzare il Ponte di Roiano (1946) di Ladislao De Gauss, artista di origine ungherese, pubblicista e illustratore di spicco, attivo per molti anni a Fiume e nella nostra città.

ROMEO DANEO - Ritratto di Zama (1947)

Tra i pezzi più autorevoli, infine, per originalità, ricercatezza formale e resa coloristica, segnaliamo qui il dipinto Barca rossa di Federico Righi e l’enigmatico e austero Ritratto di Zama di Romeo Daneo, con cui si conclude questa breve descrizione.

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