L’Autoritratto bifronte, altrimenti noto come Autoritratto dualistico o “pirandelliano” o come Il mio riflesso, nasce essenzialmente come presa di posizione dell’artista nei confronti dell’azione di riempimento del canale in Piazza Sant’Antonio Nuovo, voluto dal podestà Salem nel 1934. Una tale presa di posizione nei confronti delle problematiche dell’edilizia e del volto architettonico di Trieste non è isolata, poiché Sofianopulo a questo problema dedica numerosi scritti, denotando una notevole meticolosità di analisi e di valutazione dei diversi interventi sulla città (la nuova abside di San Giusto, la realizzazione del blocco piacentiniano, il borgo teresiano e così via). Questa singolare autoraffigurazione, la più famosa di Sofianopulo, pone a raffronto due aspetti della personalità dell’artista, evidenziati dai due libri visibili sotto il braccio dell’artista (Baudelaire e Verlaine) e di cui proprio in quegli anni egli aveva curato la traduzione. In questo dipinto, un tempo erroneamente datato 1930, lo sdoppiamento dell’artista risponde all’esigenza di svelare almeno “due” aspetti della sua personalità per dimostrare di essere un autentico artista, come suggerisce Baudelaire nel saggio “Dell’essenza del riso e in genere della comicità nelle arti plastiche”: «[…] l’artista non è artista altro che se è doppio, e se non ignora nessun fenomeno della propria natura.» «Il ritratto, per Cesare Sofianopulo, – scrive Sibilia nel ’22 – deve essere il simbolo della persona, il simbolo di un’anima, potenzialmente completo: la sintesi di tutti i sentimenti, la somma di tutti i vari aspetti mutabili di un carattere specifico. Per ciò bisogna analizzare partitamente ogni movimento dell’anima ritrattata, per fermarlo, poi, nella sua massima espressione, e per ridurlo, poi, cogli altri movimenti, nella sua giusta proporzione d’equilibrio, e poter dare, così, il maggior risalto a quello, che meglio definisce la persona.»