La mostra dedicata a Ugo Guarino, allestita nella Sala Scarpa del Civico Museo Revoltella, inaugurata il 24 giugno 2015 con data di conclusione il giorno 11 ottobre, è stata prorogata fino al giorno 8 novembre. Sono previste una serie di visite guidate, a cura di Maurizio Lorber, nelle seguenti giornate: 21 ottobre e 4 novembre alle ore 17.00.
Chi è Ugo Guarino? Se lo chiedeva anche Indro Montanelli il quale beneficiava delle vignette del geniale illustratore nella sua rubrica quotidiana sul “Corriere della Sera”. La mostra L’alfabeto essenziale di Ugo Guarino, allestita nella Sala Scarpa del Civico Museo Revoltella (prorogata fino a domenica 8 novembre) indaga dettagliatamente tutta l’attività di Ugo Guarino: dalle vignette per “La Cittadella” alla collaborazione con il “Corriere della Sera”, all’impegno artistico e sociale accanto a Franco Basaglia. Fin dagli esordi di caricaturista, Decio Gioseffi – insigne studioso di storia dell’arte – intuì che Guarino non era solo il disegnatore dei poliziotti cattivi – simulacri dell’ottusità del potere – ma un artista ironico e impertinente che rappresenta la nostra coscienza critica. Guarino, con la caricature, scopre che ciò che nel discorso verbale è lento l’immagine può riassumerlo con l’efficacia di uno slogan. Definito accortamente un “bimbo poeta”, tutta la sua opera è caratterizzata dalla ricerca di segni essenziali. Questa efficacia iconica non lasciò indifferente Franco Basaglia che accolse Guarino negli anni cruciali della sua riforma: gli strumenti del comunicare alternativi alla parola potevano divenire manifesto di libertà e strumento terapeutico.
Accanto all’opera dell’artista vi è un percorso sottotraccia che la mostra dipana; un itinerario all’interno di una stagione della storia nella quale gli slogan – coniati dallo stesso Guarino – “La Libertà è terapeutica” e “La verità è rivoluzionaria” sintetizzano, come le sue vignette, l’anelito di libertà che travolgeva l’Italia e l’Europa alla fine degli anni Sessanta. Poiché sorvegliare e punire – come recita un testo ben noto di Michel Foucault – allignavano ancora all’interno della società, una riforma democratica doveva essere attuata nel profondo delle istituzioni e, secondo Guarino, prima di tutto nelle nostre menti. Non a caso le sculture I testimoni – ottenute assemblando mobili consunti e vecchi infissi dell’istituzione manicomiale che si andava smantellando – furono un manifesto di denuncia contro la violenza inflitta ai degenti. Questi spettatori silenti vennero esposti nel 1975 a cura di “Psichiatria democratica e critica delle istituzioni”: la fantasia posta al servizio dell’impegno civile come qualche anno prima aveva fatto l’artista francese Jean Dubuffet.
Il fatto che tutte le opere di Ugo Guarino pongano sempre l’osservatore a confronto con la creatività al servizio di un’idea critica e mai a quello di un’ideologia è un aspetto che emerge chiaramente nella esposizione curata da Silvia Magistrali e Francesca Tramma. Una mostra nella quale due sono le direttrici interpretative che ci permettono di mettere a fuoco la figura e l’opera dell’artista triestino. La prima è il tema del potere. Dai beceri poliziotti ritratti ne “La Cittadella” ai medici crudeli raffigurati mentre applicano, con crudeltà “scientifica”, il loro sapere, Guarino si appella sempre a un umanesimo calpestato dall’anonimato di una divisa o da un malinteso ruolo istituzionale. Ma la disumanizzazione non appartiene solo alla psichiatria (nel 1970 fu pubblicato in Italia il testo di Thomas Szarz intitolato Disumanizzazione dell’uomo. Ideologia e psichiatria) poiché si insinua, giorno dopo giorno, nel nostro quotidiano attraverso la meccanizzazione: è il secondo tema portante della mostra. Molto soggetti, sia pittorici che scultorei, che ricordano gli uomini macchina di Oskar Schlemmer, scenografo al Bauhaus, sono una invito a riflettere sui rischi dell’alienazione che comporta il mondo della tecnica.
Guarino inventa con le sue opere – pitture e sculture – un genere nuovo che appartiene all’ingegneria fantastica. Sono i “robot” che Silvio Ceccato, ingegnere cibernetico rubato alla filosofia, aveva visto nell’atelier-laboratorio di Ugo Guarino in viale Bligny a Milano. Ceccato, come noi, rimase affascinato da questi automi impassibili, composti saldando e imbullonando scocche e serbatoi, fino a trarne dei corpi umani o di animali: «E confesso che, uscito in strada l’occhio così caricato cercava e trovava nei passanti, non più la testa del cavallo o della volpe, ma il serbatoio, quel certo serbatoio della serie delle Officine Meccaniche Tebaldi, di Monza».
La laconicità di Guarino sulla sua opera sembra trovare un adeguato corrispettivo nelle sue composizioni di inquietanti umanoidi. Il Cavaliere nero, alto due metri e trenta che sorveglia silente la mostra dietro la corazza meccanica, i giunti, la celata, per usare ancora le parole di Ceccato, esibisce un’anima impenetrabile: «ne sorge un genere che non esiterei a definire drammatico».
Un’ultima considerazione va fatta a proposito del catalogo, a cura di Silvia Magistrali e Francesca Tramma, che raccoglie non solo le opere esposte ma una serie di testimonianze che ripercorrono la vita e il lavoro di Guarino – da Trieste a Milano, Parigi, New York e ritorno – nell’Italia del dopoguerra e del miracolo economico. Un mondo che l’artista triestino seppe rappresentare smascherando quanto di falso, ipocrita e retorico vi era, e permane, nei nostri giudizi. Quando, nel 1968, si accinse a riscrivere per immagini il libro Cuore, Dino Buzzati, nella prefazione, scrisse che se in un primo momento avremo difficoltà a riconoscere i personaggi del libro poi, inesorabilmente ci renderemo conto che sono «ritratti veri. Veri, quindi cattivi. Perché nulla al mondo offende più della verità». La felice riscoperta di questo eclettico artefice è stata possibile grazie all’inedito materiale artistico e fotografico – stupende le foto dell’artista al lavoro nelle officine Tebaldi – messo a disposizione da generosi amici, avveduti collezionisti e dall’inesauribile fondo archivistico della Fondazione Corriere della Sera. La mostra è così in grado di svelare al visitatore che Guarino non è soltanto l’allegrone che, con due tratti di penna, fa scoppiare la risata. Come scrisse Decio Gioseffi, se osserviamo più attentamente le sue opere forse gli vorremo meno bene ma lo ammireremo molto di più. Oggi, nell’era della tecnica senza limiti, abbiamo bisogno di Guarino più di allora; un’epoca nella quale sta diventando ininfluente tutto ciò che conferisce una prospettiva critica sulla società e sulle nostre certezze.