Trieste 1877 – 1965
«Era veramente l’immagine dell’uomo solo che va attraverso la vita, sostenendo un peso immane, invisibile, ma presente nella schiena curva schiacciata verso terra, nei tendini gonfi del collo e nei muscoli tesi delle gambe». Così Giani Stuparich in Giochi di Fisionomie descrive una delle opere più note dello scultore triestino realizzata all’inizio degli anni Venti, per la quale aveva fatto da modello uno degli amici più cari dell’artista, il pittore Vittorio Bolaffio, autore a sua volta di un ritratto dello scultore. Si tratta di un’opera che più delle altre con il risultato figurativo «sembra quasi la materializzazione di un assioma filosofico» (Favetta), di un percorso personale dell’artista, iniziato nei primi anni del Novecento con l’opera In Se, con cui intraprese la strada dell’introspezione psicologica, proseguita negli anni Venti con Homo solus e conclusasi idealmente con L’uomo stanco.
Alla Biennale del 1922, la seconda dell’era Pica, Rovan fu membro di giuria per la sede di Trieste. Inviato l’Homo solus a Venezia, l’opera fu ammessa ma, come ricorda Rovan nell’autobiografia, «non esposta perché gesso». La notizia fu riportata anche dalla stampa locale, in articoli dedicati ai triestini presenti alla Biennale, per la prima volta un anonimo giornalista elogiava l’opera auspicando una prossima esposizione.
Sei anni più tardi, nel 1928, il gesso fu presentato alla Mostra regionale d’arte del Giardino Pubblico e un entusiasta Benco la stimava uno dei pezzi più interessanti dell’esposizione.
Oltre all’abilità nel rendere il naturalismo, espresso attraverso capacità anatomiche e attenzione per il vero, il critico triestino notava come cadesse sull’opera «un bel accento d’arte rodiniana», una sorta di ritorno all’arte giovanile riproposta dopo il «vagabondaggio ultramoderno». Infatti proprio agli anni della giovinezza risale Il nemico, vincitore del Premio Rittmayer nel 1905 ed esposto in quello stesso anno alla Biennale di Venezia. Si tratta di un nudo maschile a grandezza naturale analogo a quello dell’Homo solus per lo sviluppo anatomico dell’intero soggetto e in particolare per la resa plastica delle gambe e del torso, anche se in quest’ultimo è più incurvato.
Lo scultore triestino esplicitava la conoscenza della grande tradizione classica rivista in chiave moderna attraverso la produzione di Auguste Rodin.
L’opera è esposta al quarto piano della Galleria d’arte moderna, nella sala dedicata agli artisti triestini; mentre si può ammirare la versione in bronzo al terzo piano, nella “sala-atelier” dedicata interamente allo scultore Ruggero Rovan.