Quarto piano

Sezioni della Galleria

La pittura in età risorgimentale e postunitaria: pittori - soldati

GIOVANNI FATTORI - Bivacco
GIOVANNI FATTORI - Bivacco
GEROLAMO INDUNO G-Il ritorno del marinaio
GEROLAMO INDUNO G-Il ritorno del marinaio

In Italia, a metà Ottocento, la ricerca veristica in arte diviene il principio unificatore, da sud a nord, dello stile di gran parte degli artisti della nostra penisola la quale, travagliata dai moti rivoluzionari, si accingeva verso gli anni Sessanta a raggiungere l’agognata unificazione. Le Guerre d’Indipendenza, infatti, favorirono l’incontro e la conoscenza tra gli artisti italiani di varia provenienza, che in grande numero vi parteciparono, innescando così, pur nelle tragiche circostanze belliche, un vivace e produttivo dibattito artistico che condusse alla formazione di un linguaggio unitario e in grande parte condiviso, quello del ‘realismo’.

Tale indirizzo, che ben si accompagnava ai nuovi ideali democratici ed egualitari che stavano alla base dei rivolgimenti politici e sociali di allora, partiva dall’osservazione del Realismo francese, diffusosi dalla fine degli anni Trenta con i pittori paesisti della scuola di Barbizon (Fontainebleau) e corroborato dalla pittura di matrice naturalista di Gustave Courbet.

In questa sezione sono esposte opere di artisti – soldati (fra tutti i fratelli Induno di Milano), che furono i ‘cronisti’ di quegli anni cruciali, avendo quasi tutti preso parte alle storiche battaglie.

In particolare, sono qui visibili alcuni episodi evocativi della Guerra di Crimea (1853-56) (La presa della torre di Malakoff di Gerolamo Induno e Il quartier generale del generale Alfonso La Marmora di Eugenio Perego), dell’epopea di Giuseppe Garibaldi (Garibaldi ferito ad Aspromonte di Gerolamo Induno) e della Battaglia di Pastrengo, (dipinto di Sebastiano De Albertis), fatto importante del 1848, durante la prima Guerra d’Indipendenza. Legati alla breve vita della Repubblica Romana sono invece il piccolo acquerello del bellunese Ippolito Caffi, intitolato Artiglieria garibaldina a Roma, e la Sentinella di Gerolamo Induno. Tra i restanti dipinti qui riuniti, umanamente toccanti e di gusto più intimistico (Il ritorno del marinaio e Il garibaldino ferito di Gerolamo IndunoMalinconia di Domenico Induno, Barche di profughi di Marco Comirato e Il legionario napoleonico di Vincenzo Cabianca, esposto nella sala successiva), si segnala il bellissimo Bivacco di Giovanni Fattori che, come consuetudine di colui che fu tra i più rivoluzionari protagonisti del movimento macchiaiolo, non riproduce una battaglia nella sua eroica drammaticità, bensì si sofferma, con potente ma pacata espressività, sulla vita quotidiana dei soldati coinvolti.

La pittura in età risorgimentale e postunitaria: la poetica degli affetti

DOMENICO INDUNO - Il vecchio e il cane - 1855
DOMENICO INDUNO - Il vecchio e il cane - 1855
PIETRO SALTINI - La novella della nonna
PIETRO SALTINI - La novella della nonna

Accanto alla produzione artistica direttamente ispirata alle guerre risorgimentali che, all’insegna del ‘realismo’ cronachistico, liquidò quasi del tutto la pittura di storia accademica del primo Romanticismo, gli stessi pittori combattenti svilupparono spesso un’arte legata al racconto della quotidianità.

Come nel caso dei fratelli Induno, molto noti anche per le loro innumerevoli scene d’interni semplici, dove i soggetti (anziani, bambini, reduci di guerra e così via) ostentano una gestualità indirizzata a commuovere gli osservatori.

In queste autentiche “tranches de vie” colpiscono molto i dettagli minuziosi di ambienti e oggetti, nonché la carica espressiva dei personaggi raffigurati, come nei tre dipinti di Domenico Induno intitolati Dal prestino (il ‘fornaio’ in dialetto milanese!), Al pozzo e Il vecchio e il cane, spettacolari per il vivace senso narrativo. Non meno sorprendente per la forza descrittiva e la ricerca dei dettagli è poi un’opera molto nota dal titolo La novella della nonna del fiorentino Pietro Saltini, che bene si affianca alla serie di quattro dipinti del goriziano Antonio Rotta (le due versioni del Cane con padrone, La nonna e In sagrestia) davvero straordinari come i precedenti per l’impatto emotivo suggerito dall’estrema verosimiglianza di oggetti e di sentimenti.

Chiudono la sezione due dipinti, rispettivamente, del pisano Odoardo Borrani (Monaca convalescente) e dell’emiliano Salvatore Marchesi (Prime note), molto interessante il primo per la puntuale ripresa della pittura del Quattrocento italiano, a cui Borrani si ispirò molto spesso, e sorprendente il secondo, invece, per la suggestiva atmosfera di un interno di chiesa.

Pittori triestini formatisi a Monaco: la generazione degli anni Sessanta

ISIDORO GRUNHUT - Studio di vecchio - 1885
ISIDORO GRUNHUT - Studio di vecchio - 1885
UMBERTO VERUDA - Autoritratto - 1903
UMBERTO VERUDA - Autoritratto - 1903

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta dell’Ottocento l’Accademia di Belle Arti di Monaco fu la meta privilegiata dei giovani artisti triestini, che la preferirono alla più tradizionale Accademia veneziana. Inoltre alle esposizioni internazionali del Glaspalast ci si poteva aggiornare sulle nuove sperimentazioni artistiche e rientrare a Trieste con maggiori possibilità di affermazione professionale.

In questo periodo il realismo tedesco rielaborava l’ Impressionismo francese grazie a Max Liebermann, che, pur mantenendo la rapidità nell’esecuzione e le ricerche luministiche, non dissolveva le forme e i volumi nel colore e nella luce. Inoltre la locale Alte Pinakothek favoriva il contatto con i maestri del passato, modelli imprescindibili per i giovani apprendisti pittori.

In particolare il colorismo di Velàzquez fece innamorare Umberto Veruda, così come la pennellata fluida e rapida, che conservò come tratto individuale della sua pittura; ne sono un esempio il suo intenso Autoritratto e il Ritratto del pittore Zangrando.

La luce solare e i colori accesi dell’opera Le fondamenta a Burano rivelano il maggiore innovatore della pittura triestina di fine Ottocento e originale interprete dell’ Impressionismo tedesco; mentre il Nudo di schiena testimonia la sua continua sperimentazione tecnica e la ricerca post-impressionista.

Veruda condivise l’esperienza artistica monacense e la vita bohémienne della capitale bavarese con Isidoro Grünhut e Carlo Wostry. Su ciascuno di loro influì la ritrattistica dei pittori tedeschi (Franz von Lenbach e Franz Leibl), caratterizzata dall’indagine psicologica del soggetto attraverso un uso sapiente del chiaroscuro. Lo si può notare nel Ritratto di Umberto Veruda eseguito da Isidoro Grünhut, dove il soggetto veste abiti seicenteschi, a sottolineare la sua ammirazione per gli artisti di quell’epoca. Grünhut realizzò a Monaco nel 1885 lo straordinario Studio di vecchio, sorprendente per l’efficace resa veristica del soggetto e nel 1890 il delicato ritratto di bambina dal titolo La bambola.

Subito dopo il soggiorno monacense Carlo Wostry dipinse a soli 23 anni il ritratto di Giuseppe Garzolini, che si fa notare per la verosimiglianza con il soggetto e tradisce l’uso del mezzo fotografico, che Wostry sperimentò presso lo studio di Franz von Lenbach; mentre riasale al 1902 il luminoso Ritratto di Erma Bossi.

In questa sezione sono esposte la Processione e Donna buranese con scialle sul capo di Arturo Fittke, le cui pennellate corpose e sciolte e i colori intrisi di luce rimandano al suo maestro Umberto Veruda.

Arturo Rietti è l’autore del Ritratto del maestro Gysis, uno dei docenti più richiesti all’Accademia bavarese, dove Rietti fu introdotto alla tecnica del pastello misto a tempera, caratteristica della sua produzione, che comprende il Ritratto di Attilio Hortis e il Ritratto del Prof. P. Gysis fu docente anche di Giovanni Zangrando, presente con il dipinto La vedova, che risente della “pittura scura” tedesca dalla marcata dinamica chiaroscurale. Il parasole, di evidente gusto impressionista, testimonia invece lo stile versatile dell’artista, che con pennellate vibranti e rapide coglie gli intensi passaggi chiaroscurali attorno alla tornita ed elegante figura femminile.

Zangrando aprì a Trieste agli inizi del Novecento una rinomata scuola di pittura assieme a Guido Grimani, noto per le sue marine, come quella qui esposta. L’impressionismo tedesco gli consentì di acquisire una particolare leggerezza di tocco e di descrivere il mare in tutte le sue luminosità e trasparenze. Di Grimani in questa sede sono esposti anche un Paesaggio (Madonna di Cigale) e il Molo Audace.

Conclude la sezione la scultura Il risveglio di Giovanni Mayer, originale interprete del linguaggio secessionista che a cavallo tra i due secoli gli artisti triestini avevano avuto modo di importare dai colleghi d’Oltralpe. Mayer fu uno dei più valenti scultori chiamati ad abbellire i lussuosi palazzi del capoluogo giuliano, progettati da celebri architetti.

L’orientalismo nell’arte del secondo Ottocento

GIUSEPPE GARZOLINI - Paesaggio spagnolo
GIUSEPPE GARZOLINI - Paesaggio spagnolo
FRANZ ROUBAUD - Mercato del Caucaso
FRANZ ROUBAUD - Mercato del Caucaso

Lungo tutto l’Ottocento, soprattutto a partire dalla campagna napoleonica in Egitto a cavallo dei due secoli, che rinvigorì l’attenzione per i paesi orientali, persistette nelle diverse discipline artistiche il fascino per le culture e le civiltà extraeuropee, di cui pittori e scultori non mancarono di raffigurarne gli aspetti più peculiari e caratteristici. Furono soprattutto la Francia e l’Inghilterra e, in seguito, l’Italia ad essere più attratti dal gusto per l’esotico, che, nelle arti visive, nel corso degli anni passò via via da un’interpretazione trasognata e misteriosa ad una versione di maggiore realismo nel trattamento dei soggetti e dei luoghi.

Mediante una piccola selezione di opere di artisti locali, nazionali e stranieri, in questa prima sezione del piano sono esposti alcuni esempi, che interpretano la tematica ‘orientale’ nelle più diverse declinazioni: dalla visione realistica e ricca di dettagli del Mercato del Caucaso di Franz Roubaud, alla raffinata ed elegante Egizia in marmo di Andrea Malfatti, per passare poi alla luminosa veduta “arabeggiante” del Paesaggio spagnolo del triestino Giuseppe Garzolini, che non sfigura affatto a fianco dell’abbagliante scorcio della Moschea di Amurat I di Alberto Pasini, considerato tra i principali pittori orientalisti italiani.

Concludono la sezione due pezzi straordinari per dimensioni e singolarità del soggetto raffigurato: il dipinto Idillio a Tebe di Giulio Viotti, imponente e suggestivo per il magnifico gioco di luci e la puntuale resa fotografica, e la spettacolare scultura in bronzo del triestino Francesco Pezzicar, dal titolo L’emancipazione dei negri, dedicata al tema dell’abolizione della schiavitù.

Ma il percorso orientale non può che sfociare nell’ultima e importante tappa di questa tematica, rappresentata dal dipinto intitolato La preghiera di Maometto (1887) di Domenico Morelli, che ci conduce nella sezione successiva, dedicata alla Scuola meridionale della pittura italiana dell’Ottocento.

I protagonisti della Scuola meridionale

DOMENICO MORELLI - La preghiera di Maometto - 1856
DOMENICO MORELLI - La preghiera di Maometto - 1856

Da Napoli e da alcune figure di artisti carismatici e rivoluzionari, come Domenico Morelli, sostenitore di un linguaggio propugnatore di un verismo poetico ed ‘immaginario’, o l’abruzzese Filippo Palizzi, fautore invece di uno stile quanto più possibile aderente al dato reale, si sviluppò e si diffuse poi in tutta la penisola, a partire dalla metà dell’Ottocento, una nuova forma d’arte, decisamente rinnovata sia nella scelta dei soggetti (ora più semplici e spesso ispirati alla natura), che nei mezzi espressivi (antiaccademici e liberamente dedotti dallo studio della luce e del colore puro). Determinante per tutti loro fu l’esempio della pittura francese, sperimentata dai più in occasione dell’Esposizione Universale parigina del 1855 e nel ventennio a seguire.

Nella presente sezione, si segnala in particolare la famosa Signora del cane del pugliese Giuseppe De Nittis, artista italiano che espose a Parigi con il gruppo dei pittori Impressionisti fin dalla prima mostra nello studio di Nadar (1874) e che visse e fu attivo in Francia, e La preghiera di Maometto del napoletano Domenico Morelli, caposcuola del rinnovamento artistico di cui si è detto. Straordinaria e imponente espressione di un Oriente del tutto immaginato da Morelli, che non viaggiò mai in quei paesi, l’opera del pittore napoletano è inoltre arricchita dalla preziosa cornice da lui stesso realizzata appositamente per il Museo Revoltella. Diversamente da Morelli, il dipinto Riflessi di Bernardo Celentano è costruito mediante solide pennellate di colore inondate di luce, che non annientano le forme bensì le esaltano.

GIUSEPPE DE NITTIS - La signora del cane - Ritorno alle corse - 1878
GIUSEPPE DE NITTIS - La signora del cane - Ritorno alle corse - 1878

Ancora diversa si configura l’interpretazione della gioiosa festa in mare di Eduardo Dalbono, intitolata La canzone nova che riecheggia, con la sua vivacità cromatica e la vibrante leggerezza di tocco, la pittura dello spagnolo Mariano Fortuny il quale, attivo a Roma, influì particolarmente sull’arte italiana dell’epoca. La cornice lignea intagliata completa la narrazione festosa con un passo poetico di Salvatore Di Giacomo sulle note di Pasquale Costa. Del tutto incentrato sulla resa realistica di una natura rigogliosa e gioiosamente protagonista è il dipinto Paludi pontine di Achille Vertunni, mentre la natura in armonioso e stretto connubio con l’uomo e con gli animali caratterizza i dipinti di Filippo Palizzi, L’abbeveratoio e Pastorella con capretta, del fratello Francesco Paolo Palizzii, Contadina con asinello e di Francesco Paolo Michetti, Pastorelli.

Chiudono la presente sezione le opere di due importanti rappresentanti della scuola meridionale: Antonio Mancini e lo scultore Vincenzo Gemito. Coetanei ed entrambi allievi di Domenico Morelli, soggiornarono a più riprese a Parigi, affidando la loro produzione a mercanti d’arte di grande fama. Il mirabile ritratto di Geltrude di Mancini, documenta la sua più tarda attività incentrata sulla ritrattistica alto-borghese, raffinata ed elegante. Il piccolo Pescatoriello di Vincenzo Gemito raffigura invece un soggetto che ebbe molto successo e che ben evidenzia la radice culturale partenopea di questo artista, fonte d’ispirazione perenne per la sua intensa e prolifica attività.

Paesaggio e Ritratto in Veneto e Lombardia

Avvicinandosi il nuovo secolo, il verismo in arte finora osservato muta carattere, trasformandosi a poco a poco in “verismo sociale”, teso perciò a riflettere tematiche e aspetti legati alla rapida trasformazione del mondo e della società nell’ultimo ventennio dell’Ottocento. L’attenzione degli artisti si sofferma quindi su figure spesso marginali della collettività e ne ricava una minuziosa descrizione esteriore e psicologica, ai fini di commuovere l’osservatore mediante un monito a metà, tra denuncia sociale e comprensione cristiana. A tale indirizzo è chiaramente ispirato il noto dipinto di Luigi Nono intitolato Ave Maria, all’inizio di questa sezione, in cui il pittore ritrasse moglie e figlioletto in una straordinaria visione che ci emoziona per le dimensioni della splendida figura femminile e l’implacabile resa fotografica del ristretto scorcio chioggiotto in cui è inserita.

Di analoga interpretazione e ugualmente suggestivo si rivela il dipinto La campana della sera di Pietro Fragiacomo, triestino di nascita ma formatosi a Venezia, dove anche si trasferì. Un magistrale trattamento della luce e la resa raccolta ed intimistica caratterizzano la più ampia visione del medesimo luogo trattato da Nono: il canale Perotolo a Chioggia.

GUGLIELMO CIARDI - Mattino alla Giudecca_1892
GUGLIELMO CIARDI - Mattino alla Giudecca_1892
GIORGIO BELLONI - Torna il sereno - 1887
GIORGIO BELLONI - Torna il sereno - 1887

Una lettura decisamente più solare e diurna della laguna è rappresentata invece dal magnifico Mattino alla Giudecca di Guglielmo Ciardi, protagonista assoluto di una rilettura in chiave moderna della tradizione vedutistica veneziana. Di gusto aneddotico e un po’ vezzoso, subito accanto, appare il dipinto di Giacomo Favretto intitolato Una dichiarazione, gustosa narrazione connotata da una ricca preziosità cromatica alla maniera del pittore spagnolo Mariano Fortuny, che il pittore conobbe durante il soggiorno parigino.

Un cambiamento importante verso la fine del secolo avvenne anche nel trattamento del genere paesaggistico che da scorcio veristico e obiettivo si trasformò via via in “paesaggio stato d’animo”. Attraverso il sapiente uso di soluzioni cromatiche e luministiche, supportate molto spesso dalla fotografia, gli artisti perfezionarono infatti una soggettiva visione del mondo, come negli splendidi paesaggi qui esposti di Giorgio Belloni (Torna il sereno), Carlo Soldini (Paesaggio alpestre) e Angelo Dall’Oca Bianca (Prima luce), ciascuno pervaso da una straordinaria intensità del sentire dell’artista.

Un linguaggio artistico assai vivace e mosso accomuna, infine, due opere di soggetto di genere qui visibili: il dipinto Sorrisi di Leonardo Bazzaro, l’opera del Museo Revoltella che maggiormente si avvicina agli esiti dell’Impressionismo francese e Il pifferaio del fratello più giovane Ernesto Bazzaro, entrambi esponenti di spicco dell’ambiente artistico milanese di fine Ottocento e formatisi all’Accademia di Brera, rispettivamente, con Giuseppe Bertini e Giuseppe Grandi.

Chiude quindi la sezione il piccolo Savonarola un piccolo ritratto di mano di Tranquillo Cremona, uno dei più importanti e attivi rappresentanti del movimento della Scapigliatura milanese, che riuniva artisti, letterati e musicisti all’insegna di un rivoluzionario e innovativo modo d’intendere l’arte e la vita d’artista.

Paesaggio e Ritratto in Piemonte

BARTOLOMEO GIULIANO - In cerca di frutti di mare
BARTOLOMEO GIULIANO - In cerca di frutti di mare

La pittura piemontese tra Otto e Novecento ebbe come caposcuola Antonio Fontanesi che, pur essendo emiliano, ebbe tuttavia un ruolo significativo nell’influenzare il linguaggio artistico di quel territorio, anche grazie al suo insegnamento presso l’Accademia Albertina di Torino. La sua formazione artistica, svoltasi tra Svizzera e Francia, lo portò a prediligere il paesaggio naturalista, che nel tempo si arricchì di effetti di luce e di accese cromie pre-simboliste.

Anche Andrea Tavernier come Fontanesi, fu sensibile al paesaggio, frequentemente attraversato però dalla presenza umana, come nel dipinto qui esposto intitolato Primavera e Autunno, mirabile scorcio di montagna vivificato da un’illuminazione intensa e vibrante, che fa letteralmente risuonare il colore. In uno stile del tutto diverso ma altrettanto interessante per il nitore atmosferico e il magnifico senso di profondità si presenta la Veduta dell’Aja di Lorenzo Delleani, amico di Tavernier e rappresentante di spicco del gruppo piemontese.

Di notevole impatto emozionale per il marcato contrasto tra la luce dei monti assolati e le sfumature dorate del lago in penombra, su cui si staglia la cittadina di Riva, è il dipinto Sole cadente – Lago di Garda di Batolomeo Bezzi, esposto nella saletta attigua, a fronteggiare l’imponente gruppo scultoreo di Urbano Nono, intitolato Belisario. Trentino di nascita, ma di formazione artistica lombarda, il pittore ebbe ampi riconoscimenti in Italia e all’estero.

Con il piccolo dipinto di Bartolomeo GiulianoPescatori di perle, e la serie di sei minute vedute di autori diversi e di altissima qualità (pur nelle ridotte dimensioni), che affiancano Bezzi, si esauriscono i dipinti di paesaggio di questa sezione.

La ritrattistica qui presente, che ben documenta ed integra la rappresentanza degli artisti piemontesi nelle raccolte del Museo Revoltella, è opera di artisti che furono ugualmente importanti ed incisivi nell’ambiente artistico di questo territorio. Nel caso poi di Medardo Rosso, di cui è qui visibile il delizioso e più che noto Gavroche, dalla superficie sfaccettata e vibratile, la fama si estese ampiamente a livello internazionale. Di livello internazionale fu anche l’attività dello scultore e pittore Paul Troubetzkoy. Di nobili origini russe, fu allievo di Ernesto Bazzaro, Giuseppe Grandi e Daniele Ranzoni, da cui mediò il linguaggio artistico franto e improntato ad un essenziale naturalismo vivificato dalla luce. Come nel realistico Ritratto del pittore Rietti qui visibile, sorprendente per la naturalezza espressiva e la notevole somiglianza con il pittore triestino.

GIOVANNI GIANI - Ultima foglia
GIOVANNI GIANI - Ultima foglia

Infine, i due ritratti pittorici, rispettivamente intitolati La principessa Letizia di Savoia duchessa d’Aosta, di Giacomo Grosso, e Ultima foglia, di Giovanni Giani, manifestano un evidente intento realistico, se pur di segno opposto rispetto alla precedente scultura, per il linguaggio adottato, qui divenuto tradizionale e ‘fotografico’ per l’estrema cura dei dettagli.

Il dipinto di Grosso appare molto autorevole ed imponente, decisamente ispirato alla ritrattistica ufficiale francese, mentre il ritratto di Giani è più dimesso, intimistico e collegato alla ritrattistica inglese.

Il Simbolismo a cavallo dei due secoli

FRANCO ASCO - Busto femminile
FRANCO ASCO - Busto femminile
GIULIO ARISTIDE SARTORIO - Sull'isola sacra
GIULIO ARISTIDE SARTORIO - Sull'isola sacra

La tematica della presente sezione trae obbligatoriamente origine dai due imponenti gruppi scultorei in gesso di Leonardo Bistolfi, realizzati a cavallo tra Otto e Novecento, che delimitano la sala e ne determinano un fascino del tutto particolare e unico.

Se infatti il gruppo intitolato La Croce, di ispirazione michelangiolesca per la sua maestosità formale, è ulteriormente impreziosita dalla luce diurna proveniente dalla finestra scarpiana del piano soprastante, il magnifico bassorilievo intitolato Il funerale della Vergine, che inquadra il passaggio verso la sala successiva, alleggerisce la parete con raffinato lirismo, confermando la prevalente tendenza floreale e secessionista del linguaggio artistico dello scultore piemontese, tra i maggiori protagonisti del Simbolismo italiano. Entrambe le sculture, presentate alla Biennale veneziana del 1905, si configurano come lavori preparatori (grandi al naturale) per i monumenti funebri di famiglie alto borghesi, ubicati nei cimiteri di Staglieno a Genova (La Croce, tomba del senatore Ettore Tito) e di Belgirate sul Lago Maggiore (Il funerale della Vergine, tomba di Emma Hierschel-de Minerbi).

Alla produzione scultorea con destinazione funebre si collega anche lo spettacolare gruppo in marmo del pavese Donato Barcaglia, intitolato Donna che trattiene il tempo, uno dei primi e importanti acquisti del Museo Revoltella, a cinque anni dalla sua fondazione (1872).

Risale al 1898 il magnifico busto del piemontese Pietro CanonicaSogno di Primavera, enigmatico e ricco di implicazioni simboliste, arricchite da un verso di Alfred de Musset, tratto da La Nuit de Mai e riportato sul basamento. La delicatezza e la minuziosa perfezione dei dettagli delle mani e del volto è strettamente legata ad un concetto di equilibrio compositivo e di rivisitato gusto rinascimentale. Allo stesso modo di Canonica, un nesso idealistico di forte suggestione collega la stupefacente protagonista della scultura Il sorriso, realizzata nel 1910 dal triestino Ruggero Rovan, al suo basamento di bronzo. L’espressione serena e ineffabile della donna, dal capo mirabilmente acconciato e rovesciato all’indietro, trionfa sulla instabilità delle passioni (le figurette variamente distribuite sui quattro lati) e sul dolore dell’essere umano (le quattro figure abbarbicate agli angoli della base).

Suscita stupore ed una vaga inquietudine il fanciullo della Prece umile del veronese Vittorino Meneghello, che appare intrappolato nel suo blocco di marmo e visibilmente chiuso in una mite rassegnazione.

Straniante e attraente per la posa inusuale è infine il Busto femminile del triestino Franco Asco, reso ancor più interessante per la particolare doratura superficiale, che ne arricchisce il profilo deciso ed enigmatico.

Alle sculture fin qui descritte, si affiancano poi due dipinti di altrettanta valenza simbolica, rispettivamente, Chiesa e campo dei giustiziati in Val d’Inferno del pittore bolognese Mario de Maria e Ritorno di Ulisse di Ettore Tito, pittore di origini campane ma che fin da bambino visse e si formò a Venezia, dove per diversi decenni insegnò pittura di figura all’Accademia di Belle Arti. Alla descrizione dettagliata e veristica del misterioso paesaggio di de Maria, in cui si intrecciano storie di anime tormentate che assalgono ignari passanti, ai piedi di un Vesuvio fumante e nel bel mezzo di una natura rigogliosa, si contrappone la visione fiabesca e trasognata di Ettore Tito che, fin dall’inizio del Novecento lavorò sulla figura mitologica dell’”ondina”, fortemente suggestionato dalla pittura simbolista di Franz Von Stuck, che ammireremo nella successiva sezione.

Ma prima di accedere all’ultima sala di questo piano, non scordate di ammirare la bellissima veduta intitolata Sull’isola sacra, del pittore romano Giulio Aristide Sartorio, artista legato all’ambiente letterario dannunziano e vicino al gruppo “In Arte Libertas”, a cui aderì anche il bolognese de Maria.

Autore del complesso e pregevole fregio simbolista (1908-1912) della Camera dei Deputati a Montecitorio (spesso inquadrata nei nostri telegiornali quotidiani!), Sartorio rivela in questo pacato paesaggio della campagna romana “d’intonazione cromatica chiara e delicata” la sua vena più istintiva e naturalistica.

La pittura in Europa tra Otto e Novecento

CARL FRITHJOF SMITH - Dopo la prima comunione - 1892
CARL FRITHJOF SMITH - Dopo la prima comunione - 1892

Uno degli aspetti interessanti del patrimonio artistico del Museo Revoltella è la presenza piuttosto massiccia e, in certi casi, anche di grande qualità di opere di artisti stranieri acquisite nei primi sessant’anni di vita di questa importante Istituzione, fondata nel 1872 dal barone Pasquale Revoltella.

Sono dipinti di artisti per lo più tedeschi e austriaci o di provenienza centroeuropea, confluiti nelle raccolte museali grazie a donazioni importanti di famiglie della ricca e variegata borghesia triestina che, ancora in quei decenni (e fino al 1918), lo ricordiamo, era ancora assoggettata all’Impero austro-ungarico. Ma oltre alle donazioni, furono determinanti per le acquisizioni più importanti le grandi esposizioni internazionali che furono istituite e organizzate lungo l’ultimo decennio del secolo: dalla Biennale veneziana (1895) alle importanti esposizioni di Monaco di Baviera (1892) e di Vienna (1894), occasioni uniche per vedere rappresentati gli artisti più influenti e importanti di allora e per poter scegliere di acquisire i migliori, quando la disponibilità finanziaria lo permetteva.

I dipinti esposti in questa ultima sezione provengono in maggior parte da queste grandi mostre, a cominciare dal dipinto qui esposto, tra i più popolari del Museo Revoltella, realizzato dal pittore norvegese Carl Frithjof Smith e intitolato Dopo la prima Comunione.

Acquisito a Monaco nel 1892, quest’opera colpisce soprattutto per il realistico, quasi spiazzante effetto fotografico della scena, dominata dal marcato contrasto dei toni chiari (gli abiti delle fanciulle) e dei toni scuri (i vestiti degli anziani e degli adulti). Al di là della lettura immediata del soggetto, l’opera racchiude una certa complessità di significati, in parte espliciti (la fanciulla al centro che fissa l’osservatore del tutto avulsa dal contesto), in parte più oscuri (la venditrice di violette che offre un mazzolino alla stessa fanciulla) e non immediatamente decifrabili.

Fu acquistato invece alla Biennale veneziana del 1901, l’unico dipinto di un artista italiano della sezione, il famoso Beethoven del senese Lionello Balestrieri, qui esposto per la sua atmosfera bohémien poco italiana. Attivo a Parigi già da qualche tempo, Balestrieri fu allievo di Domenico Morelli, dal quale derivò la consuetudine di trasporre le personali sensazioni nei propri dipinti. Così l’imponente tela del Beethoven scaturì dall’intenso ricordo di una serata parigina, tra gli amici poeti, pittori e musicisti.

 

 

FRANZ VON STUCK - Scherzo - 1909
FRANZ VON STUCK - Scherzo - 1909

Un diverso significato, ben più simbolico e arcano, va attribuito al dipinto intitolato Scherzo del tedesco Franz von Stuck, che fu tra i protagonisti del movimento secessionista monacense nel 1892. Artista che si occupò anche di grafica, scultura e architettura, privilegiò soggetti desunti dal mondo classico, tra il mitologico e l’onirico, mediante un linguaggio connotato da un cromatismo vivace e raffinato. Al di là del dipinto, contraddistinto dal senso di potente dinamicità che scaturisce dalle due figure mitologiche in lotta, soffermatevi sulla magnifica cornice lignea, realizzata dall’artista stesso.

Accanto ad esso si trovano ancora esposti il dipinto intitolato L’acqua santa del pittore tirolese Albin Egger-Lienz, mirabile e straniante immagine trasfigurata del contadino, qui assurto a significato universale nel suo marcato espressionismo e Messa bassa del pittore belga Alfred Delaunois, straordinaria per l’impalpabile profondità sconfinata della chiesa di San Pietro a Lovanio.

Di ben diversa resa cromatica e significato è la luminosa Lattivendola di Dordrecht del tedesco Hans von Bartels. L’immagine solare della giovane donna in costume tradizionale olandese conferma la passione di questo artista per i soggetti en plein air, resi con pennellate compatte vibranti di luce. Fortemente plastica e cromaticamente ben definita è l’altra immagine a figura intera esposta accanto, Lola la gitana del pittore spagnolo di origini basca Ignacio Zuloaga, rappresentativa del gusto modernista europeo.

Chiudono la sezione, infine, tre opere di artisti di varia provenienza europea: Pescatori fuggenti l’uragano di Charles Cottet, rinomato pittore di cui si ammira qui uno scorcio turbolento e cupo della costa della Bretagna, regione a cui frequentemente si ispirò l’artista francese, Hilma Herikson, intensa immagine del pittore svedese Anders Zorn, rimarchevole per il deciso contrasto tra l’oscurità della stanza e la naturalezza della posa e delle morbide nudità della giovane modella e Giorno afoso del tedesco Heinrich Von Zügel, uno scorcio di campagna di altissima qualità, per l’illuminazione drammatica realizzata da pennellate rapide e piuttosto corpose.

150° della fondazione del Museo Revoltella

Storie di lasciti e acquisizioni. Un patrimonio lungo 150 anni

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Chiusura parziale Museo Revoltella dal 15 ottobre al 31 marzo

Si avvisano i gentili visitatori che dal 15 ottobre 2024 al 31 marzo 2025 l’apertura del Museo sarà limitata e l’accessibilità sarà parziale per lavori di manutenzione straordinaria finalizzati alla rimozione delle barriere fisiche e cognitive nell’ambito del PNRR (Missione 1, Componente 3, Investimento 1.2).
Sarà possibile accedere solo alla dimora baronale, che nel periodo dei lavori presenterà barriere architettoniche a tutti i piani e non sarà pertanto visitabile da persone a mobilità ridotta. La parte baronale, con ingresso da via Cadorna 26, sarà aperta tutti i giorni (tranne il martedì) con orario 9 – 19 ad ingresso gratuito.